La scossa di Trump con l’Europa che guarda
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Donald Trump va di fretta, non c’è che dire: in meno di un mese dal suo insediamento alla Casa Bianca, lo scorso 20 gennaio, il tycoon ha dato la scossa anche alla situazione geopolitica occidentale. Anzi, dopo la storica telefonata di mercoledì tra lui e il presidente russo Vladimir Putin, si può tranquillamente affermare che Trump, più che aver dato una semplice scossa, abbia letteralmente ribaltato il tavolo su cui la lunga (e tragica) partita della guerra in Ucraina si sta trascinando da troppo tempo. Ha ragione chi dice che ora la pace, nell’Europa orientale, è più vicina. Già alla Conferenza di Monaco di oggi e dei prossimi due giorni si potranno d’altronde vedere ulteriori passi avanti in questa direzione. E il merito è di colui che, dallo Studio Ovale, ha alzato per primo la cornetta del telefono. Il sangue sul fronte ucraino-russo cesserà di scorrere, forse davvero a breve, e questa è la cosa più importante. Tuttavia, e va sottolineato anche questo aspetto, si tratterà di una pace senza una vera vittoria, né da una parte né dall’altra, quindi di una pace fragile ed enormemente complicata a livello politico ed economico. Trump, infatti, non ha telefonato subito a Volodymyr Zelensky, di cui è alleato, ma a Putin. Il presidente ucraino è stato informato solo in un secondo momento che i negoziati per la pace nel suo Paese saranno avviati nelle prossime settimane. Allo stesso modo, Trump non ha preso in considerazione l’idea di coinvolgere l’Unione europea, che ha pagato e sta pagando il suo sostegno a Kiev con una crisi energetica ed economica senza precedenti, con infrastrutture sabotate (il Nord Stream) e la Germania in recessione ormai da tre anni. La Casa Bianca ha insomma agito sopra le teste, o alle spalle, sia di Kiev, che ha fatto buon viso a cattivo gioco, che dell’UE, la quale ha alzato solo timide rimostranze davanti al pragmatismo del presidente americano, mai così determinato a lasciare il segno nel suo (probabile) ultimo mandato.
Non si tratta solo di una questione di elementare grammatica diplomatica. Questa, con Trump, è meglio dimenticarsela. Si tratta, invece, della costruzione di un nuovo assetto geopolitico europeo che va capito e indirizzato fin da subito con decisione, poiché le ripercussioni di questa strana pace, vogliamo definirla così, come ha fatto sapere la rappresentante UE Kaja Kallas saranno immediate e profonde per l’Europa. Da questo punto di vista, se Trump si sta tutelando, chiedendo e ottenendo da Kiev lo sfruttamento delle terre rare ucraine per almeno 500 miliardi di dollari a compensazione degli aiuti forniti, non si vede ancora nessuna mossa da parte dell’Unione europea. Alla quale toccherà l’ambiguo vantaggio (con oneri) della ricostruzione dell’Ucraina, in una situazione geografica e politica ancora piena di incognite. Trump sembra aver capito che, nel nuovo ordine mondiale, chi primo arriva meglio alloggia. E magari non paga neanche il conto. D’altronde, il disimpegno degli Stati Uniti verso l’Europa è ormai dichiarato: «Restiamo alleati nella NATO ma dovrete fare sempre di più da soli» ha dichiarato il nuovo capo del Pentagono Pete Hegseth al gruppo di contatto sull’Ucraina, due giorni fa a Bruxelles. L’America di Trump, insomma, sta parlando con una certa rudezza ma anche chiaro. Ora sta all’Europa, sempre che ne sia capace, perseguire i propri interessi.