L'editoriale

La sicurezza chiama in causa il Governo

Viola Amherd è finita nuovamente sotto tiro nelle ultime 48 ore sia per i problemi interni alla RUAG sia per non aver informato il Consiglio federale della partenza di due figure centrali del dipartimento
Giovanni Galli
26.02.2025 06:00

Non poteva esserci un’uscita di scena peggiore per Viola Amherd. La «ministra» della Difesa dimissionaria è finita nuovamente sotto tiro nelle ultime 48 ore sia per i problemi interni alla RUAG, al centro di un sospetto caso di frode e di accuse di cattiva gestione, sia per non aver informato il Consiglio federale della partenza di due figure centrali del dipartimento: il capo dell’Esercito Thomas Süssli e il direttore del Servizio delle attività informative della Confederazione Christian Dussey. Il primo aveva comunicato le sue intenzioni il 30 gennaio, il secondo dieci giorni prima. La notizia è stata anticipata ieri mattina dalla NZZ, cogliendo in contropiede lo stesso Governo e l’ignara Commissione della politica di sicurezza del Nazionale, che proprio poco prima si era incontrata con Amherd e Süssli per discutere di affari correnti. Il motivo che ha indotto a mantenere riservate così a lungo queste informazioni - al momento non ancora confermate ufficialmente dal DDPS - è incomprensibile, tanto più che fra sole due settimane si dovrà eleggere il successore di Amherd. Al quale, oltre a farsi carico dei difficili dossier del dipartimento e dei problemi connessi, toccherà anche provvedere alla sostituzione di due elementi chiave della sicurezza nazionale: il responsabile dell’Intelligence, un settore che costituisce la prima linea di difesa, e quello delle forze armate. Dal punto di vista della comunicazione si è trattato di un’altra défaillance imbarazzante - ce ne era già stata una l’anno scorso sulle finanze dell’esercito - che con la coincidenza del caso RUAG ha alimentato nuove censure e speculazioni sul dipartimento e su chi lo dirige. Dal punto di vista dell’immagine, il DDPS ne esce a pezzi. È possibile che oggi Amherd dia alcune risposte. Una comunicazione e una leadership più proattive avrebbero risparmiato molti attacchi. Ma al tempo stesso dà da pensare il fatto che la comunicazione delle dimissioni di Süssli e Dussey sia giunta alla stampa poco dopo l’arrivo sul tavolo del Governo, quasi non ci fossero più remore a mettere alla berlina il dipartimento. Si facciano pure tutte le indagini del caso sul DDPS, ieri invocate a gran voce, purché se ne arrivi ad una e si volti pagina.

La triplice partenza, oltretutto in un momento delicato per la difesa, è sicuramente un segnale negativo, che aggrava gli innegabili problemi reali e non favorisce la fiducia della popolazione. Le ragioni che hanno spinto Süssli e Dussey a gettare la spugna sono intuibili, viste le critiche e le pressioni a cui sono stati sottoposti ripetutamente. Il clima politico generale non è favorevole e le resistenze ai cambiamenti, interne (soprattutto per Dussey) ed esterne, non aiutano. C’è comunque un rovescio della medaglia. Ai vertici dell’esercito e del SIC non ci sarà un improvviso vuoto di potere, perché i due responsabili resteranno in carica il tempo necessario per garantirne l’operatività e dare al Governo la possibilità di organizzare con relativa calma la loro successione. Il nuovo capo del dipartimento, Markus Ritter o Martin Pfister, avrà la chance di designare persone di fiducia e di far ripartire la macchina su nuove basi. Il cambiamento potrà quindi diventare un’opportunità in un settore teatro di troppi problemi e che deve essere rimesso in carreggiata. Un compito enorme attende il nuovo «ministro» della Difesa, perché la scelta delle persone, il modo con cui gestirà i progetti di armamento più problematici (per un importo di 19 miliardi di franchi) e la sua abilità nel creare maggioranze per rafforzare l’esercito saranno fondamentali per una politica di sicurezza efficace e credibile.

Ma questa è solo una condizione necessaria e non sufficiente. La questione è seria. Non si può imputare tutto ad Amherd e continuare a ragionare secondo vecchie logiche dipartimentalistiche. La realtà geopolitica sta cambiando profondamente. Negli ultimi tempi, gli avvenimenti hanno subito una forte accelerazione. L’Europa rischia di perdere l’ombrello americano e si ritrova costretta a ripensare la sua difesa militare. È lecito attendersi dal Consiglio federale che marchi presenza come collegio sul tema centrale della sicurezza e sappia fare autentiche scelte di priorità, dando chiari indirizzi strategici ed evitando di lasciare l’esercito a metà del guado.