L'editoriale

La stagione del partito che dice sempre no

L’aria che tira in vista dei mesi autunnali ci dice che abbiamo di fronte a noi una classe politica in tremenda difficoltà nel costruire e che si lancia nel ben più semplice esercizio dell’abbattimento
Gianni Righinetti
27.06.2024 06:00

Altro che mattoni e cemento, è tempo di piccone. La stagione alle spalle e l’aria che tira in vista dei mesi autunnali ci dicono che abbiamo di fronte a noi una classe politica in tremenda difficoltà nel costruire e che si lancia nel ben più semplice esercizio dell’abbattimento. Pare evidente che il perdurare di questa tendenza non porterà nulla di buono, nulla di positivo e lascerà molto incompiuto. Uno scenario desertico desolante senza guizzi e senza idee. Perché chi si lancerà nel fare il kamikaze delle proposte con la quasi certezza di non essere seguito o aiutato nel fare progredire idee nell’interesse comune? Il no, legittimo e chiarissimo, da parte dei cittadini alla Cittadella della giustizia ci ha pure detto che per opporsi a tutto quanto fa storcere il naso e si presta ad un voto di pancia, oggi c’è un’arma in più. Il Referendum finanziario obbligatorio che per scattare necessita di un fronte battagliero in Parlamento, sempre più facile da trovare grazie alla tattica delle alleanze anche politicamente impure. Perché, lo ribadiamo, il partito del no è la nuova frontiera della politica cantonale. Ed è una forza in crescita, senza colore specifico o collocazione esatta nell’emiciclo istituzionale. Un tempo il no era un’arma principalmente usata dalle forze d’opposizione, come pure dalla sinistra, con capofila il Partito socialista, di Governo, spesso messa in minoranza nel collegio. Va però ammesso che nell’era 2011-2023 Manuele Bertoli ha avuto anche la saggezza, la scaltrezza e l’intelligenza per giocare alcune partite concedendo riuscendo poi ad ottenere qualcosa. Staremo a vedere come se la giocherà Marina Carobbio, in un contesto però mutato dall’ampliamento del fronte dei «Neinsager». Il PS e quello che oggi è il fronte rossoverde, detiene la primogenitura del «no», ed è un condimento che viene abbinato a qualsiasi pietanza cucinata da altri. Certo che deve essere dura e frustrante la vita da chi si oppone a tutto e per partito preso, specie quando si scontra con la realtà dei fatti dell’approvazione. Gli esempi si sprecano, ma se vogliamo indicarne uno che è chiaro e lampante, non occorre scavare eccessivamente nel passato, basta sfogliare l’agenda fino al 9 giugno di quest’anno, il giorno dell’avallo popolare alla riforma fiscale, un dossier sul quale i compagni e i loro alleati, avevano scommesso pesante, mettendo sul tavolo una grossa fetta di credibilità. Quel no intriso di ideologia e fondamentalmente dogmatico è stato spazzato via dal popolo nella misura del 56,9%. Verrebbe da dire che è stata una lezione. Ma lezione è quando s’impara e non ci si ricasca. E qui sorge qualche dubbio.

La politica del no l’abbiamo assaporata in tutta la sua forza lo scorso autunno-inverno al cospetto del Preventivo 2024 che ha mostrato un Governo intenzionato a modificare alcune dinamiche, ma tremendamente impaurito nel metterle in atto, ma pure a difendere davanti al popolo e alla piazza vociante, le proprie intenzioni. È forse in questa occasione che è stata saggiata tutta la forza e la determinazione del partito del no, con Lega e Centro a dare man forte alla squadra. Partito del no che, si badi bene, non si è dimostrato partito dell’alternativa, poiché non ha sfornato controproposte. Perché «non è nostro compito, noi non siamo il Governo». Vero, facendo però una premessa. È troppo facile giocare alla forza dell’Esecutivo per eleggere i propri decantandone ogni virtù in campagna elettorale, per poi abbandonarli sventolando la bandiera dell’autonomia e dell’indipendenza dall’Esecutivo. Il che non significa esserne ostaggio, ma sarebbe opportuna maggiore misura. Quella che la Lega ha ormai smarrito pur avendo due consiglieri di Stato e, addirittura, il coordinatore ad interim con la doppia casacca. C’è poi l’UDC che, in odore di battaglia per entrare in Governo nel 2027, combatte come una forsennata facendo pelo e contropelo al Consiglio di Stato. Compresi i due leghisti che hanno contribuito ad eleggere.

L’assurdo di questa tendenza lo abbiamo vissuto con la discussione e il voto sul Consuntivo 2023. Su quei soldi, ormai spesi, è stato un fiume di parole e si capiva che il trasporto emotivo era tendente alla bocciatura. Detto, fatto? Non proprio. La foga di opporsi a tutto, sprovvista di coerente coraggio e lucidità, ha sfornato una pietanza non cotta e deforme. I veti incrociati hanno fatto sì che non sia stato accolto il rapporto che diceva sì, men che meno quello che diceva no. Un nulla di fatto su tutta la linea, un segnale contraddittorio e incomprensibile, come pure indecifrabile. Confusione totale. Capita, quando si dice sempre e solo no per partito preso e non si sa bene neppure perché lo si fa.