L'editoriale

La stretta monetaria forse non è più necessaria

La Federal Reserve spinge sull'acceleratore dei tagli nonostante le variabili macroeconomiche siano in territorio positivo – Anche la BNS, in una situazione più comoda, è pronta a tagliare
Generoso Chiaradonna
21.09.2024 06:00

La direzione della politica monetaria delle principali banche centrali ha imboccato la strada della discesa. È il pendolo della storia che ritorna al punto di partenza. Ad accelerare il percorso – sulla spinta anche delle attese dei mercati finanziari – ci ha pensato questa settimana la Federal Reserve con un taglio dei tassi d’interesse sul dollaro di mezzo punto percentuale. I dati su inflazione (ancora alta, al 3,2%), crescita economica (PIL robusto a +2,8%) e mercato del lavoro ancora dinamico (ad agosto creati 142 mila impieghi) non sono in peggioramento e non giustificherebbero a prima vista l’espansione monetaria. La forte volatilità dei listini e i timori eccessivi di un’imminente recessione hanno probabilmente avuto un ruolo più importante dei dati macroeconomici. Se poi si tiene conto che tra meno di due mesi ci sarà un nuovo presidente eletto, la sensazione è che Jerome Powell abbia scelto di allentare le tensioni finanziarie, più che l’economia reale.

Aveva iniziato la Banca nazionale svizzera lo scorso marzo con una prima diminuzione dei tassi d’interesse sul franco di 25 punti base e un secondo taglio a giugno di altri 25 punti. Stesso taglio anche per la Banca centrale europea a giugno e settembre. Per rimanere alla Svizzera, dal picco di 1,75% raggiunto a giugno di un anno fa, si è ora a 1,25% con la possibilità che la settimana prossima si scenda ulteriormente di almeno altri 25 punti base, se non addirittura di 50 punti base. Ricordiamo che si partiva da un territorio negativo del -0,75% ancora nel 2022. La risalita del costo del denaro è stata rapida e dovuta alla preoccupazione di dover moderare le attese inflazionistiche di imprese e famiglie. Il livello generale dei prezzi, infatti, era aumentato in modo sensibile in tutte le principali aree monetarie dopo la fine delle restrizioni dovute alla pandemia da Covid e soprattutto, dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Questi due fattori, che sembrano ormai lontani nella memoria collettiva, fecero innalzare in modo repentino i prezzi dell’energia (elettricità, gas e derivati del petrolio). Da lì, il veleno dell’inflazione - se eccessiva - si è diffuso in modo più o meno forte in tutti i prezzi: da quelli alimentari e a più rapido consumo, quindi più percepibili dai redditi modesti, a quelli dei beni strumentali. E come spesso è accaduto nella storia, i prezzi sono scivolosi verso l’alto e vischiosi verso il basso. Questo vuol dire che una fiammata inflazionistica tende a spostare verso l’alto - e lì a lasciarli - i prezzi finali di beni e servizi interni anche quando l’innesco causato dall’aumento dei costi di produzione e delle materie prime estere, per esempio, si è esaurito. È il caso dei prezzi petroliferi che sono sì diminuiti rispetto all’estate del 2022, ma hanno soltanto contribuito a moderare l’indice generale dei prezzi al consumo senza riportarlo indietro. Si chiamerebbe deflazione, altrimenti. L’apprezzamento del franco rispetto a dollaro ed euro ha comunque aiutato a limitare l’inflazione importata.

La stabilità dei prezzi, declinata con una forchetta di un’inflazione compresa tra lo zero e il 2% l’anno, è sostanzialmente l’unico obiettivo affidato alla Banca nazionale la quale lo persegue adeguando la politica monetaria a seconda delle necessità e soprattutto in modo indipendente dalle pressioni e i desideri di Governo e Parlamento. Le aspettative inflazionistiche per quest’anno e il prossimo, per quanto riguarda la Svizzera, sono ora ampiamente sotto il limite massimo del 2% l’anno (poco più dell’uno percento o addirittura più vicino allo zero per alcuni istituti di previsione). Il calo previsto per il prossimo anno dei prezzi dell’elettricità del 10% è uno dei fattori che dovrebbe contribuire a mantenere nella forchetta lecita gli aumenti dei prezzi e alimenta allo stesso tempo le aspettative per un taglio dei tassi di almeno 0,25 punti percentuali la prossima settimana da parte della BNS. La diminuzione della bolletta elettrica non compenserà comunque il maggior costo cumulato subìto da imprese e famiglie negli ultimi due anni e che è stato del +38% (+30% per il 2023 e +18% per il 2024). Il recupero del potere di acquisto di salari e rendite pensionistiche, inoltre, è ancora più in ritardo se ai maggiori costi generali della vita si aggiungono anche quelli dei premi di cassa malati che sono previsti in forte aumento anche l’anno prossimo. È vero che i costi dell’assicurazione malattia non fanno parte dell’indice dei prezzi al consumo, essendo più vicini al concetto di prezzi amministrati. Dovrebbe essere la politica – non quella monetaria - a occuparsene. Gli aumenti, ironia della sorte, saranno noti il 26 settembre proprio nella giornata in cui Thomas Jordan, alla sua ultima conferenza stampa in veste di presidente della direzione della BNS, dichiarerà vinta la lotta all’inflazione.