L'editoriale

La visione di Leonardo e la macchina divinizzata

Con le tanto blaterate IA la nostra posizione nel mondo di colpo cambia e in questo schema di efficienza e di risultati da ottenere con il minor sforzo e il massimo guadagno l’essere umano sarà sempre di più la parte debole
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
04.03.2025 06:00

L’abbiamo visto dappertutto e così tante volte che forse abbiamo smesso di guardarlo davvero. L’Uomo vitruviano di Leonardo non è soltanto il disegno più famoso di sempre ma rappresenta un simbolo, enigmatico come tutto ciò che scaturì dal genio vinciano, dai significati potenti di cui stiamo colpevolmente perdendo la consapevolezza. A quell’anonimo pezzo di carta giallastra di più o meno 35 per 25 centimetri Leonardo affidò, inciso con punta metallica, penna e inchiostro con tocchi di acquerello e sanguigna, la perfetta sintesi grafica della centralità dell’uomo nell’universo, attraverso uno straordinario studio delle proporzioni umane. In realtà non sappiamo su incarico di chi lo fece e nemmeno vi sono certezze su chi sia quell’uomo di età intermedia, nudo, all’interno di un cerchio e ancora in un quadrato, a prima vista concentrici. Il volto, dall’espressione concentrata, imperturbabile, che fissa l’osservatore catturandolo con uno sguardo introspettivo e penetrante. Con un pizzico di romanticismo, è bello credere, anche senza alcuna conferma scientifica, che almeno il volto (ma, perché no, anche il fisico, visto che «il Vitruviano» risale al 1490 quando il prodigioso Leonardo aveva 38 anni) sia, come ritengono alcuni, un autoritratto del Maestro senza la lunga barba che ne caratterizzerà le più celebri raffigurazioni successive. Ma queste in fondo sono curiosità trascurabili, come è persino secondario che, perfettamente in equilibrio tra arte e scienza, Leonardo abbia voluto analizzare le proporzioni del corpo umano secondo una pura applicazione del canone classico dell’architetto romano Marco Vitruvio Pollione o riflettere sulle ricerche di Leon Battista Alberti e sul pensiero di Euclide.

Ciò che conta è che quel disegno, così perfetto e insieme così umano, definisce la nascita dell’età moderna. La figura umana viene analizzata e misurata con strumenti matematici e geometrici e l’uomo diventa per la prima volta la misura di tutte le cose. Di conseguenza il disegno di Leonardo diventa anche simbolo di aspirazione ad un futuro migliore nel quale l’umanità assume sempre più la propria dimensione di libertà. Quella consapevolezza che stiamo, senza nemmeno accorgercene, gettando alle ortiche, ridefinendo, nella più totale ignoranza collettiva ovviamente, l’idea di intelligenza (e presto quella di coscienza) «sulla base di ciò che le macchine sanno fare o non sanno fare o non sanno ancora fare». Lo spiega alla perfezione il filologo e storico del pensiero scientifico Lorenzo Perilli nel suo lucidissimo saggio Coscienza artificiale appena pubblicato da Il Saggiatore. Frettolosamente archiviata la straordinaria rivoluzione di Leonardo che metteva l’essere umano al centro dell’universo, in un tempo brevissimo stiamo (o meglio qualcuno lo sta facendo per noi) facendo assurgere la macchina a cuore e misura del mondo senza renderci conto di quali conseguenze anche a livello di processi cognitivi questo implica e comporta. Con le tanto blaterate IA la nostra posizione nel mondo di colpo cambia e in questo schema di efficienza e di risultati da ottenere con il minor sforzo e il massimo guadagno l’essere umano sarà sempre di più la parte debole, con buona pace dei valori tanto faticosamente conquistati, almeno nel mondo occidentale, di libertà e democrazia. Dopo millenni di paura, di sofferenza, di barbarie e oscurantismo religioso, l’Uomo vitruviano rappresentava un cambio radicale di paradigma: il valore universale della legittima e responsabile aspirazione ad un futuro migliore per tutta l’umanità. Nell’indifferenza generale la dittatura delle macchine divinizzate, protagoniste di un mondo dove il più forte fa tutto ciò che vuole e gli altri o si adeguano o si arrangiano, non può essere tollerato come un’evoluzione «normale». Gli sviluppi tecnologici che non migliorano la vita di tutti, ma che invece creano o aumentano disuguaglianze e conflitti, non possono mai essere definiti vero progresso. Leonardo, che le macchine le escogitava e le studiava senza adorarle, lo sapeva benissimo.