L'accoppiata Trump-Musk tra scintille e interessi
La presenza di Elon Musk al fianco del neoeletto presidente americano Donald Trump è stata finora commentata in modo soprattutto folcloristico, mettendo sotto la lente il personaggio più che l’imprenditore. È tuttavia opportuno guardare oltre gli aspetti popolari e spettacolari di Musk, specie quelli venuti alla luce durante la campagna elettorale, perché il fondatore di SpaceX, CEO di Tesla e del social X (ex Twitter) nonché co-creatore di Open AI è una figura che, per curriculum e per genialità, potrebbe aprire prospettive profondamente inedite nella prossima amministrazione Trump. Anzi, a giudicare dal carattere, è pressoché inevitabile che le aprirà. Se nel bene o nel male, avremo presto modo di constatarlo.
Partiamo da un primo paradosso. Ieri il tycoon, che la classifica Forbes piazza intorno alla posizione 1.400 nella classifica degli uomini più ricchi del mondo, ha assegnato a Musk, l’uomo più ricco del pianeta nel 2024, il ruolo di capo del nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE). Si tratta di una posizione strategica - condivisa con Vivek Ramaswamy, imprenditore farmaceutico - e non di una semplice ricompensa per il sostegno in campagna elettorale. Trump ha già spiegato gli obiettivi del nuovo Dipartimento: «Il DOGE aprirà la strada alla mia amministrazione per smantellare la burocrazia governativa, ridurre le normative in eccesso, tagliare le spese inutili e ristrutturare le agenzie federali». Proprio per questo, per decisione del nuovo presidente, lavorerà al di fuori del Governo, collaborando con la Casa Bianca per fornire indicazioni su vari fronti. In sostanza, dovrà «fare efficienza» senza se e senza ma. E qui entra in gioco la figura a tutto tondo di Musk. Se interpretassimo l’espressione «fare efficienza» con un significato al ribasso, il suo ruolo sarebbe quello, banale, di tagliare le spese pubbliche e ottimizzare i processi. Una missione troppo poco stimolante, ça va sans dire, per l’uomo che vuole portare gli Stati Uniti su Marte. La sensazione, invece, è che Trump attraverso Musk stia cercando qualcosa di più: un rilancio complessivo dell’economia e dell’immagine americana attraverso una profonda e innovativa modifica dei meccanismi amministrativi. Anche gli USA sono infatti alle prese con una amministrazione e una burocrazia ipertrofiche che si sono sviluppate senza freni negli ultimi tre decenni, rallentando la crescita. Musk è uno dei rappresentanti di punta dello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Ci saranno scintille, nell’incontro tra questi due mondi, uno statico e pesante e l’altro dinamico, con tratti inquietanti? È probabile. Trump stesso ha parlato della necessità di un «cambiamento drastico» e ha definito la missione un nuovo «progetto Manhattan». C’è da sperare che non sia troppo esplosivo.
C’è poi chi sostiene che Musk vorrà giocare a fare il «presidente ombra», contando sul fatto che, essendo sudafricano di nascita, non potrà mai, per legge, arrivare alla Casa Bianca. Anche questa è una interpretazione che rischia di snaturare il carattere di Musk, ben differente da quello del tycoon. Ma l’accoppiata, proprio perché disomogenea, potrebbe anche essere vincente. Piuttosto, se vogliamo parlare di «ombre», a destare preoccupazioni sono e saranno i conflitti di interesse di Musk, che sono enormi. Non solo, infatti, con le sue aziende Musk è uno dei più grossi contractor del Governo USA, ma è anche un uomo dal non piccolo potere geopolitico. Starlink, la costellazione di satelliti gestita da SpaceX, si occupa di fornire un accesso Internet satellitare globale e avrebbe avuto un ruolo anche nella guerra tra Russia e Ucraina, con contatti professionali, sembra da alcune inchieste, perfino con il Cremlino. Una posizione molto delicata, forse troppo. Al netto della fiducia che Trump gli ha assegnato.