L’assurdo derby tra strada e ferrovia
La votazione del prossimo 24 novembre sulla «fase di potenziamento 2023 delle strade nazionali» è di quelle estremamente insidiose che generano in tutti noi un conflitto interiore tra pancia e ragione, al punto che occorre approfondire attentamente tutti gli elementi prima di imprimere «sì» o «no» sulla scheda di voto. È fuori di dubbio che la rete autostradale, concepita e realizzata a partire dagli anni Sessanta, era all’epoca un segno tangibile di progresso, lungimiranza, modernità e spostamenti rapidi. Poi, più l’autostrada era a contatto con i centri, finanche trafiggendoli con una retta di cemento e asfalto, maggiore era l’orgoglio dei politici e dei cittadini di quell’epoca, dato che permetteva di arrivare per direttissima e a tutta velocità nel cuore delle nostre città. E se si finiva per sacrificare località caratteristiche (vedasi ad esempio il caso di Bissone), poco importava, dato che l’obiettivo era ben altro. Di errori pianificatori ne sono stati commessi innumerevoli, per carità in buona fede, ma indubbiamente anche perché non c’era quella sensibilità che oggi è presente nella generazione che ha di riflesso beneficiato del progresso di quegli anni ed è persino dominante in quelle che saranno chiamate a gestire il futuro del nostro Paese. Oggi si parla di costruire gallerie, interrare tratti di strade a forte percorrenza e di aggirare i nuclei urbani. Opere che, Vedeggio-Cassarate e semisvincolo di Bellinzona (dagli effetti tutti da scoprire) a parte, in Ticino restano un miraggio. Il compito, da cittadini dell’era contemporanea, è quello di fornire il nostro contributo per raggiungere un compromesso tra la legittima aspirazione a vivere meglio e godere degli spazi e di una massima tranquillità, ma nel contempo facendo pure nostra una buona dose di sano realismo. Elemento che ci porta a dire che le distese di margherite sono piacevoli, ma non ci daranno certamente il sostentamento necessario per mantenere il benessere del quale non possiamo e non vogliamo fare a meno. E il benessere lo si ottiene anche con una qualità negli spostamenti, senza restare incolonnati per ore quando si deve percorrere il tragitto casa-lavoro o quando ci si muove per andare in vacanza. Se il tutto diventa un calvario, viene naturale tentare alternative, lasciare l’autostrada e percorrere il reticolato di strade secondarie, talvolta anche attraversare quartieri residenziali, per raggiungere la meta. Se questo avviene è perché le arterie principali non sono sufficienti e non sono ben calibrate. Certamente, possiamo prendercela con l’eccessivo parco veicoli e con l’insufficiente occupazione degli stessi. Ma alla fine questa operazione altro non risulterebbe che pura ipocrisia perché su quelle automobili, spesso da soli, ci siamo pure noi. E questa abitudine è, almeno in Occidente, universale. Va detto che il potenziamento della rete autostradale ci concerne tutti; chiunque ne è interessato direttamente o indirettamente, perché la mobilità è un fatto globale, diventato irrinunciabile nei giorni feriali come pure in quelli festivi. Si può anche fare la morale ai cosiddetti «spostamenti superflui», ma questi, per un ragionamento di comodo, sono sempre degli altri, mai i nostri. Le grandi vie di transito sono state concepite in un’epoca in cui la Svizzera contava 6 milioni di residenti, oggi abbiamo superato quota 9 milioni. Appare lapalissiano e risponde a semplici principi di realtà, senza dover per forza richiamare la fisica, che quanto era sufficiente (o quasi sovradimensionato) allora, risulta insufficiente oggi. Sul tavolo ci sono sei progetti tutti oltre San Gottardo per un investimento complessivo di oltre cinque miliardi di franchi, che sono tanti e per i soldi occorre avere rispetto e mai sottovalutare. Ma diciamo pure che quei soldi arrivano dal fondo Fostra, alimentato dagli stessi automobilisti, e sono esplicitamente destinati a opere viarie e non certamente a risanare i conti della Confederazione. È vero, non c’è nulla di ticinese. Ma questo è un elemento che dovrebbe spingere a dare fiducia a questa visione di mobilità migliore laddove i problemi sono conclamati, perché un no comporterebbe nella migliore delle ipotesi la paralisi di ogni progetto in essere e sarebbe la pietra tombale anche per le opere necessarie in Ticino. Citiamone pure una, il collegamento veloce con il Locarnese.
Da parte dei «neinsager» si sottolinea la necessità di puntare sulla ferrovia. E questo è giusto, fin sacrosanto. Siamo strenui difensori del trasporto su rotaia e alle nostre latitudini attendiamo con impazienza il varo del Tram treno, ma oggi c’è una sola via percorribile. Difendere strada e ferrovia con la stessa determinazione, i due vettori non sono in concorrenza, bensì complementari. Il problema è che chi crede nella strada non ha alcun problema nel riconoscere quanto sia essenziale la ferrovia. Purtroppo il contrario non accade mai, perché chi vuole il treno combatte con manifesta miopia ideologica la strada. Un derby assurdo.