Le elezioni, il pendolo e qualcosa di déjà vu
Nei dodici mesi trascorsi dalle elezioni federali si è votato in sette Cantoni svizzero-tedeschi per il rinnovo di Governo e Parlamento. Al di là delle dinamiche interne tipiche di ciascuna realtà locale, sono emerse quattro indicazioni di fondo. L’UDC naviga con il vento in poppa, sull’onda del buon risultato delle Federali, in cui aveva rafforzato il suo primato. Continuano le difficoltà per i partiti ecologisti, che dopo il balzo all’indietro alle Camere hanno perso in totale sedici seggi nei parlamenti cantonali. Socialisti e Centro tengono le posizioni, con risultati alterni. E da ultimo, l’apparente segnale di ripresa, dopo una lunga serie di controprestazioni, dato domenica dal PLR ad Argovia, il quarto cantone più popoloso. A fronte della marcia sul posto del PS e del Centro, si può dire che il pendolo della politica si è spostato sul centrodestra. Negli scorsi giorni, il Tages-Anzeiger ha pubblicato un’analisi di questa prima tornata elettorale ponderando guadagni e perdite di ogni partito sulla base degli abitanti dei singoli Cantoni in cui si è votato. Ebbene, l’UDC ha guadagnato nel complesso 3,2 punti percentuali, grazie anche ai buoni risultati ottenuti domenica scorsa ad Argovia (+3,6 punti) e a Basilea Città (+2,3). Mentre ad eccezione del Centro, in perfetto equilibrio, chi più chi meno, tutti gli altri partiti hanno perso terreno: il PS solo 0,1 punti, il PLR 0,8, i Verdi 1,5 e i Verdi liberali 0,5. In un’ottica più generale si possono notare due tendenze. Primo: l’onda verde si è appiattita e dopo l’apice del 2019 il clima ha vieppiù perso slancio come elemento di mobilitazione degli elettori. I Verdi in particolare (-11 seggi nei parlamenti dei 7 Cantoni) stanno pagando dazio. Dovranno remare controcorrente per risalire la china e tornare ad ambire a un seggio in Consiglio federale. Forte del no alla riforma del secondo pilastro, la presidente Lisa Mazzone ha preannunciato una «legislatura referendaria», nella quale i Verdi cercheranno di dimostrare il loro potere di veto per osteggiare un asserito nuovo corso a Berna, dovuto allo «spostamento a destra» di Governo e Parlamento. Secondo: l’UDC con le sue posizioni sugli stranieri e in parte anche il PLR, con la linea più profilata in chiave «borghese» del presidente Thierry Burkart, sembrano più sintonizzati con lo spirito dei tempi, segnato da preoccupazioni per la sicurezza in generale e la politica migratoria, riflesso delle crisi globali in corso.
Burkart, argoviese, è uscito rafforzato dalle elezioni nel suo cantone, le uniche dopo Sciaffusa in cui il PLR abbia fatto registrare un passo avanti. Contabilmente il partito è in deficit (-7 seggi nelle 7 tornate elettorali) ma il lieve progresso in una realtà a suo modo rappresentantiva – c’è chi definisce Argovia una piccola Svizzera – può essere considerato anche un test importante in prospettiva; una prova che sembra premiare indirettamente la linea avallata dai delegati nazionali sabato scorso a Tenero, dove è stato invocato un intervento più deciso del Consiglio federale contro l’immigrazione illegale ed è stata anche affrontata la questione della scuola inclusiva, un tema di cui PLR e UDC si contendono la paternità a livello federale. Questa costellazione ricorda vagamente quella del 2015, quando le preoccupazioni per la forte ondata migratoria e per l’economia diedero una spinta ai due partiti borghesi, in particolare ai democentristi, che conquistarono il primato assoluto di consensi a livello nazionale (oltre il 29%). C’è chi, a giusta ragione, ha ricordato che quella congiuntura fu di breve durata, in quanto oscurata nel giro di un paio d’anni da altre tematiche, su tutte quella del clima, che avrebbe poi avuto un forte impatto a livello elettorale nel 2019, con l’avanzata degli ecologisti e i passi indietro di tutte le formazioni borghesi. Tutto è possibile, ma la sensazione di déjà vu del 2015 sembra difficile da allontanare, perché in un modo o nell’altro questa legislatura sarà scandita dai temi che rappresentano il «core business» dell’UDC: dal controverso dossier europeo all’iniziativa popolare sui 10 milioni di abitanti (connessa con la libera circolazione), dalla questione della neutralità al tema sempre in primo piano dell’asilo. La tensione resterà sempre alta. Quanto al PLR, i prossimi appuntamenti diranno se è in corso o meno un’inversione di tendenza e se il partito è in sintonia con le preoccupazioni degli elettori. Con il fiato sul collo del Centro, Burkart vuole anche approfittare dello scollamento fra il vertice dell’UDC e la base del partito sulla 13. AVS e sulla riforma della LPP per accreditare il PLR come vera forza borghese. L’impresa è ambiziosa e anche rischiosa. Al di là del marketing politico, molto dipenderà dalla capacità di costruire alleanze e di tradurre la nuova linea in scelte concrete, in grado di convincere l’elettorato. Il difficile viene adesso.