L'editoriale

Le emozioni formano realtà e opinioni

A Jackson Hole si tiene il tradizionale incontro tra banchieri centrali ospiti del presidente della Fed Jerome Powell - Anche quest'anno si cercano indizi per la riduzione dei tassi
©Jose Luis Magana
Generoso Chiaradonna
23.08.2024 06:00

Il tradizionale appuntamento informale di fine agosto a Jackson Hole, sulle montagne del Wyoming, tra i principali banchieri centrali, segna la fine dell’estate e la ripresa preautunnale delle attività economiche. È un momento dell’anno molto atteso soprattutto da chi opera sui mercati finanziari perché traccia, di fatto, la strada da seguire per i prossimi mesi. Dal discorso che oggi terrà il numero uno della Federal Reserve Jerome Powell si cercherà di carpire messaggi e orientamenti della politica monetaria prossima ventura e intuire come saranno i prossimi quattro mesi prima della fine dell’anno. Un quadrimestre che sarà caratterizzato, tra le altre cose, dalle elezioni presidenziali statunitensi oltre che dalla prolungata incertezza causata da due guerre in corso di cui non si vede una rapida via d’uscita. Per rimanere ai temi più prossimi a una banca centrale, un taglio dei tassi d’interesse a settembre - tra 25 e 50 punti basi - per la Fed è dato ormai per scontato alla luce del rallentamento della spinta inflazionistica e dell’indebolimento del mercato del lavoro. 

È però dall’inizio di quest’anno che ci si attende un taglio del costo del denaro che puntualmente viene procrastinato. I dati macroeconomici americani, nonostante tutto, sono in territorio positivo sia per quanto riguarda la crescita del PIL, anche se più modesta delle attese, sia per quanto riguarda l’occupazione. Ma in un anno elettorale cruciale, l’opinione pubblica negli Stati Uniti è spaccata sulla salute dell’economia tanto che è stato coniugato un neologismo (vibecession, dall’unione tra vibrazioni e recessione) per indicare la spaccatura tra i dati misurati dagli istituti di ricerca e quelli percepiti - o sperimentati sulla propria pelle, si potrebbe dire – da gran parte dei cittadini che non sentono di vivere in un periodo di particolare prosperità. Dalla recessione oggettiva si è quindi passati a quella percepita. Si sbaglia però a liquidare queste sensazioni come errate a priori. Le emozioni, come sanno gli esperti di marketing, guidano le scelte di consumo e a maggior ragione quelle politiche, come hanno ben imparato i comunicatori di partiti e leader negli ultimi anni. Questo per dire che è vero che la fiammata inflazionistica – per rimanere a un dato noto e comprensibile a tutti - si è calmata, ma l’impoverimento della classe media è stato reale in questi anni, accelerato dall’aumento dei prezzi: negli Stati Uniti come in altri paesi occidentali.

Le recessioni però arrivano e non solo a causa dell’inversione del ciclo economico, ma anche per colpa di errori di politica monetaria. Jerome Powel e i suoi omologhi europei hanno sempre sostenuto di avere quale obiettivo prioritario il raffreddamento dell’inflazione senza spingere in territorio negativo l’economia. L’atterraggio morbido, come viene definito questo processo, è diventato un mantra ripetuto a ogni riunione più o meno formale della Fed. Se però Powell è stato accusato due anni fa di aver agito in ritardo di fronte al balzo dei prezzi, che per mesi si riteneva transitorio, ora rischia di essere indicato e ricordato come colui che ha causato una recessione avendo lasciato i tassi troppo alti e troppo a lungo. Il ceto medio americano e i redditi più bassi avrebbero così un dato macroeconomico in più per avvalorare la sensazione che le cose non vanno bene per loro. Una recessione infiammerebbe il dibattito sul ruolo della Fed, che Donald Trump e il suo vice J.D. Vance vorrebbero mettere sotto il controllo del presidente nella convinzione che fissare i tassi d’interesse è una decisione politica.

In Europa la situazione è addirittura peggiore rispetto a quella statunitense. La crescita prevista nella zona euro è molto al di sotto dell’ottimo +2,6% immaginato per il PIL americano e va – per quest’anno - dal +0,5% dell’Eurozona, al +0,8% dell’intera Unione europea. Inoltre, a pesare molto sull’andamento economico del Vecchio Continente c’è la Germania che sta attraversando un periodo decisamente negativo. L’indicatore ZEW (Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung) che misura il sentimento economico degli investitori tedeschi per il prossimo semestre è letteralmente crollato ad agosto fermandosi a 19,2 punti, cioè 22,6 punti sotto il valore di luglio. Per trovare aspettative deteriorate di tali entità bisogna andare con il tempo a luglio di due anni fa, in piena crisi del gas in Europa, quando il Paese andò brevemente in recessione. Rischio che può ripetersi anche quest’anno visto che il PIL tedesco, nel secondo trimestre, ha segnato un’inattesa contrazione dello 0,1%. Anche in questo caso a pesare è l’elevata incertezza causata da una politica monetaria della BCE a dir poco ambigua, oltre alle crescenti preoccupazioni per un’estensione del conflitto in Medio Oriente.