L'editoriale

Le tante lingue che parla il Pardo

«Così tante persone ammassate in una piccola piazza con questo caldo mi fanno sentire come a casa mia» – Questa frase pronunciata sul palco di Piazza Grande dal divo di Bollywood Shah Ruckh Khan dopo aver ricevuto il Pardo alla carriera è una delle più significative di Locarno 77
Antonio Mariotti
19.08.2024 06:00

«Così tante persone ammassate in una piccola piazza con questo caldo mi fanno sentire come a casa mia». Questa frase pronunciata il 10 agosto scorso sul palco di Piazza Grande dal divo di Bollywood Shah Ruckh Khan dopo aver ricevuto il Pardo alla carriera è una delle più significative di Locarno 77. Ha infatti il potere di proiettarci con la fantasia a migliaia di chilometri di distanza, nella megalopoli indiana di Mumbai, e di farci intuire come potrebbe essere considerato il festival ticinese in quel contesto: un piccolo e simpatico evento di quartiere, un puntino luminoso perso tra migliaia di altri all’interno di un’infinita ragnatela di luci. Questa frase simboleggia però soprattutto la capacità di Locarno di riuscire ad inglobare realtà completamente diverse - come quella di Bollywood per l’appunto - «piegandole» alle sue esigenze, senza stravolgere lo spirito che da sempre anima la manifestazione. Shah Ruckh Khan è solo l’ultimo esempio in questo senso e di certo non sarà l’ultimo, poiché se il Festival vuole continuare a crescere dovrà essere in grado di ampliare ulteriormente il proprio raggio d’azione senza perdere di vista la sua missione principale: fare da cassa di risonanza al cinema di qualità libero da condizionamenti economici troppo pressanti.

Intanto, Locarno 77 si è concluso con un piccolo ma confortante aumento del pubblico (+ 3.5%) e con un ulteriore significativo riconoscimento per un’altra cineasta ticinese: dopo il premio per la miglior regista emergente ottenuto da Denise Fernandes tra i Cineasti del Presente, Klaudia Reynicke si è portata a casa il Premio del pubblico di Piazza Grande con il suo Reinas. E scusate se è poco. Il Ticino della settima arte dimostra così di non essere più quel deserto dove fino a pochi anni fa erano attivi solo pochissimi precursori, ma un territorio fertile, in grado ormai non più solo di ospitare il Pardo ma anche di contribuire fattivamente al suo sviluppo artistico.

Globale, locale ma anche nazionale: il Festival di Locarno ha assoluto bisogno di mantenere al massimo livello tutte e tre queste dimensioni che fanno parte del suo DNA. Un aspetto, quello dell’incontro tra persone delle diverse regioni elvetiche, che si concretizza, durante undici giorni, in un’atmosfera dai toni multiculturali e soprattutto multilinguistici. Ebbene, da questo punto di vista, il Pardo dà l’impressione di essersi incamminato sulla via di una crescente (e spesso irritante) anglicizzazione forzata che rischia di scontentare una fetta del pubblico a favore delle esigenze degli addetti ai lavori. Nei giorni scorsi ci è capitato ad esempio di assistere a proiezioni di film svizzeri parlati in una lingua nazionale (o in più lingue, anche straniere) con sottotitoli unicamente in inglese; oppure a conversazioni post proiezione condotte nella lingua di Shakespeare quando né il moderatore né il regista erano di lingua madre inglese, né tantomeno il film era parlato in questo idioma, con un conseguente impoverimento preoccupante dei contenuti del dibattito. Senza dimenticare che il quotidiano del Festival (o bisognerebbe chiamarlo Daily?) è praticamente tutto in inglese, che molte traduzioni in italiano dei testi del catalogo lasciano molto a desiderare e che sul sito della manifestazione si trovano interviste registrate in inglese ad ospiti francofoni a quanto pare solo per risparmiare sui sottotitoli. Insomma, un monolinguismo sempre più consolidato e ben poco giustificato, visto che a Locarno (dal direttore artistico in giù) non mancano le persone capaci di esprimersi alla perfezione nei tre idiomi nazionali e in inglese. Cancellare la propria lingua e quella dei propri vicini a vantaggio di una lingua straniera è un segno di debolezza e di sudditanza culturale che il Pardo non può assolutamente permettersi. Soprattutto ora.

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