L'entusiasmo da campagna tra brindisi e scivoloni
Quello alle spalle è stato un weekend all’insegna di un fiume di parole, promesse, programmi, brindisi e con l’immancabile risotto e luganiga servito per l’occasione dall’UDC che ha deciso di condire il suo congresso festoso con la pietanza storicamente cucinata dalla Lega ai suoi elettori/tifosi. Tra leghisti e democentristi la tensione è alta al punto che alcuni esponenti che si sono presentati a mangiare con i cugini sono stati redarguiti: «Ma cosa ci fai lì?». Ad accendere il falò ci ha poi pensato il solitamente compassato nei termini ed elegante nei modi Paolo Pamini, affermando che l’UDC è un partito «con i coglioni» e non con due «coglionazzi» (ci scusiamo per la scurrilità ma questi sono i fatti) aggiungendo anche il termine «Governo». Vallo a capire: intendeva la coppia di consiglieri di Stato della Lega? Pamini dice che era autoironia rivolta a lui e Piero Marchesi. Il trasporto emotivo ha generato una pericolosa miscela tra un lapsus freudiano e un atteggiamento tafazziano. La Lega, dalle colonne del Mattino ha lanciato il suo «Achtung!» e l’imbarazzo pesa su un partito e un presidente che vanno cercando credibilità e crescita nei consensi con il motto «Cambiamo ora», mentre la Lega replica all’insegna della «Continuità». E come se non bastasse all’UDC che vanta un filotto di sette vittorie in occasione di votazioni su iniziative e referendum, da via Monte Boglia si fa notare che non hanno fatto tutto da soli. A destra la temperatura è salita pericolosamente e se le due forze non saranno in grado di gestire i rispettivi sentimenti d’entusiasmo e paura, il rischio implosione è concreto.
C’era per contro attesa nel PLR per conoscere la rotta del nuovo condottiero Alessandro Speziali che ha intitolato «Offensiva liberale» quella che auspica possa essere la nuova primavera da inaugurare sotto la sua presidenza. Lo slogan è nuovo, come d’altronde lo era stato quello del 2019 sotto un’altra guida con «#facciamolo» ammiccante ma criptico. La domanda, ieri come oggi, rimane la stessa. Dove vuole andare e cosa vuole raggiungere questo PLR? Una risposta chiara per la forza che ha perso il secondo seggio in Governo nel lontano 2011 non c’è. Il cantiere è aperto da anni, ma «l’Offensiva liberale» appare un programma diluito con tanti ingredienti. Quattordici pagine di testo fitto e una settantina di cosiddette priorità, unitamente a un termine che svetta e che troviamo in molti concetti: il «liberalismo». L’impressione è che, oggi come in passato, il PLR sia un partito che, indipendentemente da chi sta al timone, faccia fatica ad individuare una strada ben definita ma si tenga aperte più vie allo scopo di accontentare tutti, illudendosi che così facendo non scontenterà nessuno. L’entusiasmo non manca, quando si tratta di autoconvincersi delle proprie idee tutto fila liscio, ma ora occorrerà fare in modo che gli elettori seguano e votino.
E veniamo al fronte rossoverde, pure protagonista della domenica preelettorale, con gli ecologisti riuniti al mattino e i socialisti al pomeriggio. La vera novità per l’appuntamento cantonale sono loro, in particolare i rossi, capaci di superare indenni il pasticcio inutile per spianare la strada verso Bellinzona a Marina Carobbio e in grado di generare quella che appare come una vera alleanza strategica. Unione che si è chiarita da quando la verde Greta Gysin ha rinunciato alla partita per il Governo, ottenendo certamente rassicurazioni per proseguire e tentare di rendere ancora più prestigiosa la sua carriera a Palazzo federale. Anche nel PS ci sono due co-presidenti giovani alla prima prova con le urne, Laura Riget e Fabrizio Sirica che nel loro programma di legislatura hanno voluto sottolineare la mano tesa ai meno fortunati e l’obiettivo di un socialismo sempre più tra i cittadini (più referendum e iniziative popolari), portando la loro azione a sconfinare e facendo l’occhiolino al ceto medio. Proprio quella fascia di popolazione alla quale il PS volta le spalle quando si tratta di rendere loro la vita meno onerosa, perché gli sgravi sono brutti e cattivi, mentre si fa sempre e comunque l’occhiolino alla politica del sussidio.
Congressi, programmi, brindisi, risottate e, atteso a breve, pure qualche santino, sono d’altronde gli ingredienti immancabili di ogni campagna elettorale, scandita dagli slogan e contraddistinta da tante parole e da quell’entusiasmo del plotone dei candidati pronto a fare quasi di tutto per cullare il sogno dell’elezione. Ma sogni e realtà non vanno a braccetto, candidatura non significa elezione garantita: per fare il grande passo ci vogliono abilità, gli agganci giusti, qualche buon galoppino in grado di raccogliere trasversalmente voti, una certa dose di fortuna, un partito che non tradisca le attese della vigilia e comunicazione efficace e chiara.