L'editoriale

L'immagine danneggiata della Giustizia ticinese

Quanto successo non è uno scherzo di pessimo gusto ma un'autentica vergogna
Gianni Righinetti
26.08.2024 06:00

Era un dissidio tra colleghi dello stesso ufficio, sfociato dapprima in segnalazioni incrociate, poi in una denuncia. Al centro un presunto caso di mobbing, che sarebbe finito nel sessismo, finanche becero, irriguardoso e inaccettabile con la trasmissione alla donna ritenuta bersaglio di un’immagine (reale o costruita poco importa) con due enormi falli in quella che sembra una sala d’aspetto con una signora seduta in attesa di cosa non si sa e la scritta «Ufficio penale». Non è uno scherzo di pessimo gusto è un’autentica vergogna. E lo è a maggiore ragione perché risulta trasmessa via whatsapp dal presidente del Tribunale penale cantonale (TPC) Mauro Ermani. Non stiamo parlando di un ufficio qualunque, ma di quello che gestisce ed esercita una funzione istituzionale, quello nel quale siedono i cinque giudici del TPC che hanno un ruolo delicato e fondamentale: giudicare i cittadini che, prevenuti di reato, si trovano a fare i conti con la giustizia. Che deve essere equa, imparziale, seria, distaccata e soprattutto credibile. È il terzo potere dello Stato, esercitato nella fattispecie da chi è chiamato a pronunciare condanne, a stabilire la pena a carico di cittadini che nel loro agire di persone libere hanno (più o meno pesantemente) sbagliato, hanno infranto la legge e vengono chiamati a pagarne il prezzo in termini di limitazione della libertà. I giudici rappresentano lo Stato, la legge, pronunciano condanne e mandano in carcere. Sarà anche noto e lapalissiano, ma è bene sottolinearlo e dirlo in maniera chiara e forte. Perché quello che sta accadendo tra i cinque giudici non potrà finire a tarallucci e vino, non potrà mai più essere oggetto di un chiarimento o una conciliazione tra le parti. È stato superato ogni limite e la doverosa decisione del Consiglio di Stato di affidare la questione a un procuratore straordinario super partes proveniente dai Grigioni è saggia e responsabile. Mantenere la vicenda nelle mani del nostro apparato giudiziario avrebbe generato un cortocircuito a catena con una sequenza di potenziali ricuse in grado di paralizzare processi e dossier. Questa mossa non è uno scandalo, scandaloso è quanto c’è a monte e andrà chiarito celermente (la fattispecie dei reati non richiede inchieste complesse) e con trasparenza cristallina. E, come insegna la giustizia, chi sbaglia paga. Ma osiamo dire sin d’ora che, visto il derby tra fazioni di giudici, oltre al chiarimento giudiziario ne occorrerà uno operativo, strategico e fattuale del funzionamento e dei rapporti interni. Come in ogni posto di lavoro non si pretende che i colleghi siano amici in ufficio e nella vita privata. Sempre meglio non vi siano eccessive commistioni tra i due mondi, ma da cittadini riteniamo che il dissidio che ha conosciuto una escalation per un mobbing del quale si vociferava da tempo mette in luce un ambiente malsano, foriero di potenziali perversioni. E non si tratta di negare un briciolo di buon umore che fa bene al corpo e alla mente. C’è il tempo della risata (ma mai del sessismo) e quello della serietà, della responsabilità. E oggi il momento non è solo serio, è estremamente grave. Ma non sembra di percepire con coscienza questo stato delle cose. Si attende che il Consiglio della magistratura mostri il senso compiuto della sua esistenza.

La Giustizia ticinese merita molto di più e da questa vicenda dovrà risuonare forte e chiaro il messaggio che certe vergognose sceneggiate non potranno essere più accettate ed è ora di procedere, anche con prese di posizione che non lascino spazio ad interpretazioni o che siano fondamentalmente prese con leggerezza. Non si può più sentire dire che «nonostante tutto il lavoro prosegue». Non c’è ambiente di lavoro malsano che genera processi lineari e professionali. La Giustizia non è un’isola in questo senso. Vorremmo tanto lo fosse a livello di serietà. O meglio, che tornasse ad esserlo, anche grazie all’orgoglio di chi quotidianamente fa il suo dovere e si trova screditato in questo momento di caos.

Inoltre, cari giudici, dovreste spiegare come mai, di fronte a tanto lavoro, incarti, pressione per smaltire il tutto, riuscite a trovare il tempo per farvi la guerra. Quando viene meno il senso civico non c’è cerotto che possa tenere. Con un procuratore straordinario il Governo ha mostrato l’intenzione di salvaguardare il senso di giustizia della Giustizia di fronte all’immagine danneggiata, ora attendiamo che i protagonisti dell’incresciosa vicenda assumano le loro responsabilità di fronte alla cittadinanza, perché (anche questo vale la pena ribadirlo), la Giustizia non è «cosa loro», non è delle persone che l’amministrano. L’istituzione Giustizia sopravviverà ai «contemporanei protagonisti». Qualunque sarà il loro destino. Sembra davvero un punto di non ritorno.

In questo articolo: