L'editoriale

L'integrazione tra UBS e CS è costosa ma necessaria

Il percorso che porterà a un'unica entità - Il risultato appesantito dalle controversie legali di Credit Suisse
Generoso Chiaradonna
06.02.2024 21:00

Che l’operazione non fosse facile e lineare era chiaro già nel marzo di un anno fa, quando nel giro di un fine settimana Credit Suisse fu rilevata da UBS grazie anche all’azione congiunta di Confederazione, Banca nazione e Finma. La prima accettò di subentrare negli impegni di un istituto in forte crisi di fiducia, mentre lo Stato – attraverso il governo, la banca centrale e l’autorità di controllo – fornirono garanzie, liquidità e il via libera legale a un’operazione di salvataggio veramente straordinaria e sotto l’occhio attento del resto del mondo. L’intervento a cuore aperto, per usare un termine chirurgico, riuscì e si evitò una sorta di Hiroshima finanziaria con epicentro la Svizzera. Sono passati soltanto undici mesi da allora e sembra un’eternità con un panorama bancario svizzero mutato: un’unica grande banca, quando tre decenni fa ce n’erano quattro e tutte con sguardo e ambizioni internazionali, e altri istituti più piccoli molto distanti, comunque, dalla stazza della prima soprattutto per quanto riguarda la capacità creditizia. 

Tornando a UBS-CS, se l’operazione d’urgenza è riuscita, non si può dire che la convalescenza del paziente sia finita tanto è vero che il peso dell’integrazione dell’allora seconda banca svizzera si fa sentire sui conti della prima e continuerà a farsi sentire almeno fino a quando le due entità giuridiche non saranno una cosa sola. E ciò andrà avanti almeno fino alla fine del 2025. Fino ad allora – e il CEO Sergio Ermotti è stato chiaro in proposito – non bisognerà attendersi grandi risultati dal punto di vista dell’utile. Si tratta di sistemare i casi giudiziari (leggasi accantonamenti che rallentano la redditività) a livello internazionale ereditati da Credit Suisse e incominciare a mettere mano alle strutture delle due banche che sono spesso ridondanti e con doppioni in quasi tutti i mercati. L’utile da quasi 30 miliardi di dollari frutto della contabilizzazione del valore di mercato di Credit Suisse sta quindi fungendo da capitale aggiuntivo in grado di assorbire in modo egregio i costi di integrazione. 

Per rimanere alla Svizzera, tra UBS e Credit Suisse, ci sono 285 agenzie (190 la prima e 95 la seconda) e buona parte di queste saranno chiuse. L’idea è quella di avere meno di 200 filiali, un numero che si avvicina a quelle di UBS prima dell’integrazione. Ma questo non è indicativo di un ridimensionamento delle attività domestiche. Il processo di digitalizzazione e il cambiamento di abitudini della clientela stavano già influenzando le presenze sul territorio per tutte le banche. Questo non vuol dire che diminuendo il numero di “insegne” sul territorio, ci sia minore attenzione a quel mercato. Basta vedere la dinamicità delle cosiddette “neo banche” - quelle che esistono solo sul web per intenderci - che almeno per quanto riguarda l’attività di retail, sono molto presenti e competitive senza antenne territoriali di alcuni tipo. Il discorso è diverso per quanto riguarda l’attività di gestione patrimoniale e quella di credito verso le aziende. In questo caso il contatto personale è fondamentale per stabilire quel rapporto fiduciario classico tra banchiere e imprenditori. In ogni caso, maggiori dettagli sulla struttura nazionale saranno noti entro la fine di quest’anno quando sarà completata la fusione delle unità elvetiche. Nel corso del 2025 le attività di CS Svizzera saranno poi gradualmente trasferite a UBS. Sono tutte operazioni costose e che comportano comunque dei rischi tecnici e legali che vanno gestiti con oculatezza. Lo stesso esercizio di riconsiderare attività e sedi va ripetuto in ambito internazionale dove lo stesso Ermotti non ha fatto mistero di voler diminuire il peso dell’investment banking, fonte dei guai per Credit Suisse. 

Esercizi che comportano anche dei dolorosi tagli ai posti di lavoro a livello nazionale e internazionale. Lo scorso agosto sono stati resi noti – per quanto riguarda l’integrazione delle attività svizzere - tremila esuberi che saranno gestiti con un piano sociale negoziato con i rappresentanti dei dipendenti. A livello di gruppo il numero di collaboratori, tra diretti e indiretti, è sceso sotto le 139 mila unità a fine 2023. Erano più di 143 mila alla fine di settembre dello scorso anno. E la cura non è ancora finita.