Liz Truss, specchio di un Paese in crisi

Diciamolo chiaramente: in Europa prendere la guida di un Governo di questi tempi non è per nulla una sfida semplice. Agli effetti negativi prodotti sull’economia dalla pandemia di coronavirus, dallo scorso marzo si sono aggiunti gli effetti nefasti che la guerra in Ucraina ha prodotto sui prezzi degli idrocarburi, innescando una preoccupante spirale inflazionistica. Ma non bastano questi elementi esterni a giustificare la fine ingloriosa di Liz Truss, la rampante esponente Tory destinata a entrare nella storia del Regno Unito per il poco invidiabile record della più breve permanenza alla guida del Governo: solo 45 giorni.
David Cameron era rimasto a Downing Strett per oltre 6 anni, dal maggio del 2010 al luglio del 2016. Theresa May, succeduta a Cameron, aveva conservato la guida dell’Esecutivo britannico per tre anni. Boris Johnson, uscito di scena lo scorso luglio, si era mantenuto in sella come premier per meno di tre anni. E ora con il tonfo di Liz Truss, capo del Governo per poco più di un mese, vi è già chi si chiede se il Regno Unito non abbia imboccato la strada dell’instabilità politica. Al momento appare prematuro tracciare scenari catastrofici, anche se la situazione economica oltre Manica suscita più di una preoccupazione, considerato che l’inflazione ha raggiunto livelli record mettendo in difficoltà ampi strati della popolazione che hanno visto ridursi in modo importante la propria capacità di spesa e, al tempo stesso, diventare più onerosi i debiti in termini di interessi passivi.
Liz Truss, terza premier donna del Regno Unito, intendeva imitare la politica fiscale ed economica di Margaret Thatcher, ma non ha preso in considerazione il momento difficile che il Paese sta attraversando da qualche anno, anche a causa delle ripercussioni negative che finora la Brexit ha prodotto sull’economia britannica. Il generoso taglio delle tasse che la premier dimissionaria voleva concedere ai contribuenti più facoltosi, a scapito del debito pubblico, ha mandato la sterlina al tappeto e messo in allarme i mercati, costringendo «l’apprendista stregone» Truss a tornare rapidamente sui suoi passi, perdendo allo stesso tempo la fiducia di molti esponenti del suo partito.
L’annuncio delle dimissioni restava così l’unica via percorribile per la premier maldestra, onde offrire al partito conservatore la chance di trovare un nuovo leader in grado di affrontare la grave crisi economico-sociale che affligge il Regno Unito. Il primo passo sulla via del rilancio spetta allo stesso partito Tory, la cui litigiosità interna, legata alla presenza di varie correnti, ha pure avuto un peso non indifferente nella scelta di condottieri che alla fine si sono rivelati meno affidabili e concludenti di quanto promettevano. Ora il tempo stringe, visto che la procedura di successione per la nomina del successore della Truss è stata modificata per ridurre i tempi di attesa: il nome dovrà uscire entro venerdì 28 ottobre.
L’opposizione chiede a gran voce elezioni anticipate, ma i tories che nei sondaggi sono messi malissimo, preferiscono fare orecchie da mercante; hanno infatti già dato il via alla battaglia per la conquista di Downing Street. Ma questa volta non potranno permettersi altri errori clamorosi nella scelta del nuovo premier, ne va della loro credibilità agli occhi dei cittadini britannici. Le premesse non sono però delle migliori, se si pensa che l’ex premier Boris Johnson, da poco cacciato dalla guida del Governo, è rientrato di fretta dalla Repubblica Domenicana forse, sostengono alcuni media britannici, per valutare le possibilità di un suo rientro in pista. Sarebbe un ritorno al passato che poco si addice a un Paese che necessita urgentemente di un piano credibile per uscire da una grave crisi.