L'editoriale

Lo sfregio dell’arte non fa bene al clima

Queste «sceneggiate» soffiano sul fuoco delle paure senza argomentare nulla: peggio, sdoganano un messaggio pericoloso e ambiguo
Paride Pelli
26.10.2022 06:00

Il tema del cambiamento climatico e di una necessaria transizione ecologica sta diventando, negli ultimi anni, un patrimonio comune. Anzi, lo è già. Ognuno di noi ha le sue idee su quanto peso assegnare all’argomento e sulle possibili strade da percorrere per ripulire l’aria che respiriamo tutti i giorni e per tenere sotto controllo l’inquinamento. Seppur tra visioni politiche differenti, si può constatare che una sensibilità verde ha irreversibilmente preso residenza nel cuore e nella mente di tutti, almeno in Occidente. Ne possiamo essere solo lieti. C’è di mezzo, d’altronde, l’ambiente in cui viviamo, in cui cresceranno i nostri figli e i nostri nipoti, oltre alla nostra quotidianità che vogliamo il più salubre possibile. Ma come in tutte le cose, ora si tratta di non esagerare. Di non finire ossessionati da un’apocalisse climatica che non arriverà né prima di Natale né in questo millennio. Di non trasformare le previsioni degli scienziati in dogmi che prescindono dalla nostra esperienza individuale: l’ultima estate in Ticino abbiamo sì sofferto il caldo torrido, ci siamo sì preoccupati per alcune allerte siccità, e abbiamo messo in atto i rimedi che potevamo, ma ci siamo ben guardati dal trasformare tutto questo in un’ideologia opprimente e oppressiva. E così è meglio che sia anche in futuro.

A svilire ed estremizzare un dibattito costruttivo, quello appunto sul riscaldamento climatico, ci stanno già pensando, infatti, le attiviste del movimento di protesta Just Stop Oil: queste ultime hanno fatto irruzione alla National Gallery di Londra scagliando zuppa di pomodoro contro il dipinto «Girasoli» di Vincent van Gogh. Malgrado il quadro fosse protetto da una lastra di vetro e la tela non abbia subito danni, chiunque ami l’arte e la bellezza si è sentito sfregiato personalmente e ha avuto un sussulto al cuore. Le due attiviste si sono poi incollate al muro sotto l’opera, urlando una domanda retorica, oltre che becera e divisiva: «Cosa vale di più, l’arte o la vita?». La protesta, ultima di una lunga serie organizzata dal movimento, voleva attirare l’attenzione sul fatto che alcune famiglie inglesi («milioni» secondo l’organizzazione) questo inverno non avranno gas a sufficienza per scaldarsi una zuppa. Sono, questi, gesti eclatanti quanto sconsiderati e irrispettosi, fomentatori di pericolose repliche. Non a caso, domenica scorsa, altri due attivisti del movimento «Ultima generazione» sono entrati in azione al Museo Barberini di Potsdam e hanno scagliato del purè di patate contro un dipinto della serie «Covoni» di Claude Monet, anch’esso protetto da un sottile vetro. Il lettore può rintracciare altre simili incursioni su internet: da «Il carro di fieno» di John Constable all’«Ultima cena» del Giampietrino, allievo di Leonardo, negli ultimi mesi diversi capolavori sono stati attaccati e oltraggiati «in nome del clima».

Impossibile non porsi alcune domande, soprattutto sulla facilità di questi ragazzini nell’eludere i controlli dei sofisticati sistemi di sicurezza dei musei. E impossibile anche non fare qualche riflessione. Tutti veniamo da un periodo stressante, per alcuni drammatico, e le ansie per il nostro futuro, compreso quello climatico, possiamo comprenderle; la pandemia ha inoltre inculcato in tante persone un senso di precarietà che è faticoso, ma doveroso, provare ad attutire. Ma queste ultime «sceneggiate» contro l’arte - non è possibile definirle altrimenti - non vanno certo in tale direzione. Soffiano invece sul fuoco delle paure senza argomentare nulla: peggio, sdoganano un messaggio pericoloso e ambiguo, che è possibile, cioè, sacrificare la civiltà che è stata inventata e realizzata prima di noi a favore di una visione del futuro che certamente merita di essere considerata, ma che non può, né oggi né mai, diventare un ricatto al nostro presente e un danno alla nostra storia.

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