L'ONU produce fragili risposte anche sul clima
«Delusione». «Frustrazione». «Fallimento». È ruotata attorno a questi toni la COP29 di Baku. E visto il probabile risultato finale, scopriamo che quel pessimismo emerso nei giorni scorsi non era un espediente diplomatico per incoraggiare le parti a trovare un accordo migliore, a compiere un ulteriore sforzo per rendere tutto ancora più bello. No, quel pessimismo era del tutto reale. Di bello, o perlomeno di utile, in Azerbaigian c’è stato ben poco. A partire dall’accordo finale – che fra le altre cose non prevede alcunché riguardo alla riduzione dell’uso dei combustibili fossili ma solo misure generiche – e arrivando fino all’immagine stessa di questa conferenza, svoltasi in un Paese che fonda le proprie ricchezze (e le sue disuguaglianze) sull’esportazione di combustibili fossili.
Siamo onesti: non poteva andare diversamente. Del resto, è difficile parlare di concetti quali giustizia climatica, abbandono graduale delle fonti inquinanti o transizione energetica quando una delle delegazioni più importanti a livello numerico era quella dei rappresentanti di aziende che estraggono petrolio e gas.
Al termine di questo fallimento annunciato, risuonano forti le parole del capo del gruppo di negoziatori africani, il kenyano Ali Mohamed: «È inaccettabile», ha detto riferendosi all’accordo sulla finanza climatica (il tema dell’edizione, che in parole molto asciutte significa che i Paesi ricchi, principali responsabili delle emissioni di CO₂, devono impegnarsi ad aiutare il sud del mondo a mitigare gli effetti del cambiamento climatico). Parole che allargano ancora di più il fossato fra chi non vuole vedere l’urgenza di cambiare drasticamente direzione e chi, invece, sta già subendo oggi gli effetti del riscaldamento globale. E che si trova a combatterlo senza armi né finanziamenti adeguati.
Nell’anno che verrà ricordato per essere stato (finora) il più caldo dall’inizio delle misurazioni, la COP si è trasformata in un vicolo cieco. Una beffa arrivata nell’indifferenza quasi totale – vedi le assenze di molti Paesi del G20 – di un Occidente distratto da troppe crisi geopolitiche o interne per ragionare su un tema, il clima, che non riesce a trovare sbocchi concreti. Arrivati a questo punto, vien da chiedersi se si riuscirà mai a trovare una via condivisa capace davvero di invertire la tendenza. Anche perché l’ONU appare indebolito, fragile nel dare una risposta netta a più crisi esplose in rapida successione. In uno dei momenti più delicati della nostra epoca, anche il ruolo delle organizzazioni internazionali viene messo in discussione fra veti e decisioni aspramente contestate. Una dinamica da «tutti contro tutti» che purtroppo spinge ancora più in là ogni possibilità di risolvere conflitti, guerre e crisi climatiche.