L'editoriale

Molinari, il campo di gioco non c’è più

Il nodo che alla fine ha determinato il comprensibile esito del voto in Gran Consiglio è la constatazione della mancanza di dialogo con questa realtà
Paride Pelli
28.11.2024 06:00

Settimana scorsa si è potuto assistere all’ennesima fiammata politica sulla questione dei «molinari» a Lugano e indirettamente su come alcuni partiti pensano, a grandi linee, di dover regolare in futuro l’autogestione in Ticino. Non è necessario ripercorrere qui l’annosa discussione parlamentare a proposito, svoltasi tra mozioni ritirate e poi riprese, rapporti e votazioni: basti prendere atto che, nella sostanza, pochi giorni fa la maggioranza del Gran Consiglio ha respinto l’idea di un coinvolgimento del Consiglio di Stato nell’impervio progetto di trovare, in collaborazione con la Città di Lugano, una struttura adeguata che potesse finalmente ospitare gli antagonisti del CSOA nonché ex inquilini abusivi dell’ex Macello, sgombrato e abbattuto dalle forze dell’ordine nella notte tra 29 e il 30 maggio del 2021. La vicenda dei molinari, come è noto, riguarda la proposta, se tale la possiamo definire, di una cultura «alternativa» che non desidera dialogare con le istituzioni ma che vuole comunque appropriarsi di spazi e strutture altrui senza andare troppo per il sottile, con l’idea di portarvi avanti il proprio stile di vita e, ça va sans dire, di pensiero. Il nodo che alla fine ha determinato il comprensibile esito del voto in Gran Consiglio - inatteso da molti - è stato proprio questo: la constatazione della mancanza di dialogo con tali realtà. Nel caso specifico dei molinari, della ferma volontà, da parte loro, di non dialogare. Se l’altra parte non vuole proferire parola, infatti, voler impegnare il Consiglio di Stato in una discussione è fittizio.

In seguito alla votazione, c’è chi ha commentato che ora «la palla torna a Lugano» e che la Città dovrà sbrogliarsela da sola senza un sostegno da parte del Cantone. In realtà, la palla non torna da nessuna parte, perché non esiste più il campo di gioco. Si è trattato, insomma, di una prova di generosità da parte di alcuni partiti, che però non hanno visto o voluto vedere l’elefante nella stanza: il mutismo ostinato dei molinari. La mozione dell’UDC, da cui è partito tutto, aveva come titolo: «Un’eventuale autogestione cantonale ma con regole chiare!». Ma per stabilire e rispettare regole chiare e condivise, le parti devono essere due e, possibilmente, aprire un tavolo di dialogo. E i molinari, dopo il discusso e discutibile (per lo meno nei modi) sgombero, non si sono mai presentati a un tavolo della mediazione né ora lo stanno chiedendo. Anche se il Gran Consiglio avesse approvato un ticket «cantonale-comunale» per risolvere la vicenda, nulla sarebbe cambiato, se l’obiettivo era quello di non avere i molinari per strada, o chissà dove, e di assegnargli eventualmente uno spazio. I motivi dell’autoesclusione di questi ultimi sono persino comprensibili: stavano bene nel disordine (eufemismo) dell’ex Macello. Edificio che infine gli è stato tolto, in ossequio alla legge. E loro se la sono presa. È probabile che il dialogo, sempre che ci sia mai stato, non ripartirebbe nemmeno dietro promessa di ricostruirgli ex novo la sede abbattuta. A Natale dell’anno scorso, hanno d’altronde occupato abusivamente l’ex discoteca di Capo San Martino: questo sembra tutto quello che hanno da dire. Si spera non replichino anche quest’anno.

Non sarebbe realista affermare che abbiamo vissuto per anni ostaggi di un non-problema, poiché problemi e occupazioni ne sono accaduti, ma tale conclusione non sarebbe neppure errata. Parte della politica se ne è accorta. «Il CSOA ha dimostrato in più occasioni di non voler rispettare le basilari regole di civiltà» è stato, post voto, il commento trasversale più sentito. Ora è probabile che il caso dei molinari esca dai radar della politica per diventare un mero problema di ordine pubblico e di polizia, come, a parer nostro, è sempre stato. Discorso diverso con altre realtà «alternative», quelle che in qualche modo hanno dimostrato di voler cercare quantomeno un colloquio con la città che le ospita e di essere al corrente dell’esistenza di regole che governano la convivenza civile, fatta di diritti, certo, ma anche di doveri. È il caso, che Lugano già conosce, del Tour Vagabonde. Si tratta di realtà che in una democrazia compiuta hanno pieno diritto all’ospitalità e per le quali vale la pena impegnarsi.