Obiettivi ambiziosi, scalata difficile
Dopo una lunga serie di rinunce eccellenti – ieri si è fatto da parte anche il consigliere di Stato argoviese Markus Dieth, presidente della Conferenza dei governi cantonali – il Centro è ancora alle prese con la ricerca di un candidato forte alla successione di Viola Amherd. Due personalità con ottime credenziali stanno valutando se lanciarsi nella corsa per il seggio in Consiglio federale: l’ex presidente del partito e attuale consigliere di Stato vallesano Christophe Darbellay e il consigliere nazionale sangallese Markus Ritter, presidente dell’Unione svizzera dei contadini. Il primo vanta una solida esperienza esecutiva, il secondo è considerato fra i deputati più influenti a Palazzo.
Entrambi conoscono perfettamente i meccanismi della politica federale. In un modo o nell’altro, indipendentemente dalle loro scelte, la questione si risolverà, anche perché il Centro può sempre contare su un ampio serbatoio di politici cantonali competenti. Finora, comunque, le cose non sono andate come ci si poteva immaginare, a maggior ragione in un partito che ha obiettivi ambiziosi e che da tempo sta lavorando ai fianchi il PLR per aggiudicarsi il secondo seggio in Governo, perso nel 2003. Gli avvicendamenti in Consiglio federale rappresentano di solito un’occasione per ottenere una visibilità positiva.
Dal profilo dell’immagine, tuttavia, il risultato è l’esatto contrario. Ormai è sulla bocca di tutti la battuta di come farebbe il Centro a raddoppiare la sua presenza in Governo se non riesce nemmeno a trovare un candidato idoneo per occupare l’unico seggio. Al netto dei motivi personali e familiari, le ragioni della riluttanza a candidarsi sono più o meno verosimili. Il successore di Viola Amherd dovrebbe riprendere anche il Dipartimento della difesa, che nonostante il maggior peso specifico acquisito negli ultimi anni – il budget dell’esercito è stato notevolmente aumentato – continua a rimanere poco ambito. Sa più di scusa, invece, la prospettiva di ritrovarsi in una posizione minoritaria, e quindi con poche possibilità di contare realmente, in un Governo a maggioranza UDC-PLR. Ad altri in passato è capitata la stessa cosa, ma sono comunque riusciti a ottenere risultati e a non farsi mettere nell’angolo.
C’è sicuramente anche il fatto che oggi l’alta carica attiri meno di un tempo e procuri più problemi che soddisfazioni. Ma la questione è anche un’altra. Una risposta l’ha data mercoledì alla RSI l’ex capogruppo alle Camere Filippo Lombardi, che con vent’anni di esperienza alle spalle a Berna la sa lunga sulle tattiche di Palazzo: i big si tengono in disparte per la vera battaglia che avrà luogo nel 2027 (sull’edizione di martedì del CdT Moreno Bernasconi aveva parlato di «madre di tutte le battaglie»). Alle ultime elezioni federali, il Centro ha perso di mezza incollatura il testa a testa con il PLR. Il partito ha conservato i consensi del vecchio PPD e del PBD (con cui si era fuso nel 2020) mentre l’avversario storico ha fatto un altro passo indietro. L’obiettivo del 2027 è di fare un altro passo avanti e creare le premesse per raddoppiare nell’Esecutivo, così da modificarne gli equilibri, dando vita a un terzo polo fra destra e sinistra. Per riuscirci, però, servirà anche un candidato fortissimo. Nessun grosso tenore della politica federale vuole rischiare di bruciarsi adesso.
La tesi è più che plausibile, anche se non spiega tutto. Ma al momento, quella dell’en plein alle prossime elezioni federali è più una scommessa che un obiettivo. Gli eventi susseguitisi negli ultimi giorni, insieme alle numerose rinunce, hanno portato alla luce diverse fragilità nel partito. Da fine stratega, Pfister ha sicuramente scelto il momento giusto per andarsene, ma il mancato coordinamento con Amherd sulle rispettive partenze solleva più di una domanda sulla compattezza del vertice e l’organizzazione. Il presidente dimissionario è riuscito a fermare il declino degli ex-democristiani e a dare nuove prospettive al centro politico, ma si è anche fatto dei nemici. Internamente non fa l’unanimità. Il PLR, che con Thierry Burkart ha inaugurato un nuovo corso e si è dato un profilo più battagliero, ha via libera nel tentativo di risalire la china. Il Centro intanto si ritrova con quattro posti importanti vacanti: Consiglio federale, presidente del partito, segreteria (si è dimessa anche la controversa segretaria Gianna Luzio) e capogruppo alle Camere, nell’ipotesi in cui l’attuale titolare, il solido vallesano Philipp Matthias Bregy, assuma la presidenza. Il 2025 sarà un anno decisivo per questa ripartenza. Compito del nuovo presidente sarà di dare una linea chiara al partito e di mediare fra le diverse correnti per farne una formazione unita in vista della battaglia cruciale del 2027. C’è molto lavoro da fare e, soprattutto, è vietato sbagliare.