L'editoriale

Ora è la forza del franco il tema della Banca nazionale svizzera

L'inflazione è apparentemente sotto controllo – L'allentamento monetario è una conseguenza della normalizzazione dei prezzi – Il superfranco è difficile da battere
Generoso Chiaradonna
28.09.2024 06:00

Agli occhi della Banca nazionale svizzera (BNS) l’inflazione non appare più come un problema impellente. È per questa ragione che ha abbassato di un altro quarto di punto il tasso guida. È il terzo taglio della stessa entità da marzo scorso. Le parole di Thomas Jordan alla sua ultima uscita in veste di presidente della direzione generale della BNS, pur sempre misurate da manuale del banchiere centrale, sono state chiare a questo proposito: la pressione inflazionistica in Svizzera è ancora nettamente arretrata rispetto al trimestre precedente. Una diminuzione, ha continuato Jordan, che riflette fra l’altro l’apprezzamento del franco negli ultimi tre mesi. Tradotto, questo vuol dire che nonostante la diminuzione del costo del denaro che dovrebbe aiutare a stimolare investimenti delle imprese e consumi delle famiglie, la crescita del livello dei prezzi rimane sì nella fascia di riferimento ma ben al di sotto del 2%. Anzi, è più vicina allo zero virgola qualcosa che alla cifra intera. Una situazione che ha fatto dire alla direzione della BNS - un’anticipazione più unica che rara nella storia dell’istituto di emissione - che nei prossimi trimestri potranno rendersi necessarie ulteriori riduzioni del tasso d’interesse proprio per garantire la stabilità dei prezzi a medio termine. In questa accezione la stabilità dei prezzi è intesa a evitare una pericolosa discesa in territorio negativo dell’inflazione. La parola deflazione non è stata usata, ma è aleggiata. «Nel complesso consideriamo attualmente i rischi al ribasso per l’inflazione più elevati di quelli al rialzo». È questa la frase esatta pronunciata da Jordan.

Uno degli imputati per questa situazione è il franco svizzero ritenuto troppo forte rispetto alle principali valute internazionali, in particolare rispetto a euro e dollaro americano. Interventi sul mercato dei cambi da parte della BNS non sono quindi esclusi per tentare di svalutarlo.

Le strade per indebolire la forza della valuta nazionale sono già state percorse negli scorsi anni. Non dimentichiamo il famoso tetto a 1,20 franchi per euro introdotto nell’estate del 2011. Una decisione maturata in un contesto di crisi internazionale e in particolare di difficoltà crescenti dell’industria votata all’export. In quel frangente il pericolo deflazione era forte e percepito come pericoloso per l’economia svizzera dai vertici della BNS di allora. Il franco stava diventando di fatto un bene rifugio, una sorte di approdo sicuro per capitali e investitori in fuga dalla crisi dell’Eurozona di allora. Il tentativo - quasi una svalutazione competitiva agli occhi degli USA, per esempio - risultò vincente. L’apprezzamento del franco nei confronti dell’euro, appena si ritornò nel gennaio del 2015 a un regime di mercato libero, continuò ed è proseguito fino a oggi.

Oltre alla forza intrinseca della valuta elvetica, data dal basso livello dell’indebitamento pubblico, dalla spesa ampiamente sotto controllo della Confederazione e da un forte surplus commerciale verso l’estero, per alcuni analisti vi è anche un’azione di carry trade degli investitori internazionali. Storicamente è lo yen giapponese a essere usato come moneta di carry trade per la politica monetaria estremamente accomodante della sua banca centrale con tassi d’interesse prossimi allo zero. In pratica questi operatori si indebitano in franchi a tassi molto bassi rispetto ad altre monete, per trasformali in valute da investire in strumenti finanziari che offrono rendimenti più alti: generalmente obbligazioni pubbliche e aziendali in dollari o euro. Operazioni analoghe sono effettuate anche da investitori istituzionali svizzeri (casse pensioni, per esempio) che però mirano a proteggersi dal rischio di cambio per gli investimenti effettuati in altre valute. È una sorta di circolo vizioso che alimenta il rafforzamento del franco svizzero rendendo arduo il tentativo di svalutazione della Banca nazionale. Che è un po’ come cercare di eliminare per decreto la legge di gravità.

Con il taglio del tasso guida e la prospettiva di un’altra riduzione della stessa entità già il prossimo dicembre, la banca centrale sta di fatto scontando un rallentamento del ciclo economico. Le previsioni per ora – per quanto riguarda l’economia svizzera - non parlano ancora di recessione. La crescita sarà però contenuta, per non dire asfittica, attorno all’1%. Lo scenario internazionale è soggetto a rischi significativi: la Cina sta rallentando, la battaglia dei dazi con l’Occidente e l’incognita delle guerre in corso.