Pensioni, una riforma con un piede nella fossa
L’Unione sindacale svizzera ha fatto sapere che lancerà il referendum contro la riforma del secondo pilastro, ancora all’esame del Parlamento. Per concentrare tutte le forze su questo obiettivo, l’organizzazione ha deciso di interrompere la raccolta delle firme per l’iniziativa popolare che intende destinare gli utili della Banca nazionale all’AVS. Proprio mentre le Camere stanno ancora cercando di appianare le loro divergenze, il presidente dell’USS Pierre-Yves Maillard ha detto che non intravede più la possibilità di trovare una soluzione percorribile dal punto di vista sindacale per riorganizzare la previdenza professionale: questa soluzione dovrebbe fare perno sull’accordo stipulato a suo tempo dai partner sociali, ripreso dal Consiglio federale ma non dai due rami del Parlamento (per motivi plausibilissimi). Da tempo nell’aria, il ricorso al referendum suona quasi come una sentenza per una riforma che sta navigando da mesi in acque agitate e stenta a scaturire in un compromesso capace di radunare una solida maggioranza. A differenza del progetto di stabilizzazione dell’AVS, passato di stretta misura in votazione popolare, il quadro politico è molto più fragile: oltre all’opposizione della sinistra, che schiererà l’artiglieria pesante per evitare una seconda sconfitta alle urne sulle pensioni, in questo momento ci sono anche visioni contrastanti negli ambienti economici. Tutto ruota attorno all’abbassamento dal 6,8% al 6% dell’aliquota di conversione (del capitale risparmiato nella parte obbligatoria) per i futuri pensionati e al modo di compensarlo. La soluzione governativa prevedeva indennizzi a vita per tutti coloro che sarebbero andati in pensione nei primi 15 anni della riforma. Questa misura sarebbe stata finanziata dagli attivi, con un prelievo sui salari dello 0,5% in stile AVS. Le Camere, contrarie a questa compensazione a «innaffiatoio» hanno messo a punto soluzioni più mirate che restringono il campo dei beneficiari (il Nazionale al 35-40% degli assicurati della generazione transitoria, gli Stati quasi al 50%). Con le compensazioni per tutti, infatti, molti futuri pensionati riceverebbero più di quanto prevede il regime attuale. Prevedere un prelievo speciale sui salari, inoltre, vorrebbe dire gravare sui giovani e introdurre nel sistema un elemento estraneo al secondo pilastro, dove ognuno risparmia per sé. C’è anche chi giudica eccessivo compensare la metà dei futuri pensionati, sostenendo che in realtà meno di un assicurato su cinque verrebbe penalizzato dall’abbassamento del tasso di conversione; e che per una transizione equa andrebbero compensati solo coloro che sono effettivamente destinati a subire perdite. Inoltre, le soluzioni che si stanno delineando, compresa quella di far accedere al secondo pilastro certe categorie a basso salario oggi escluse, incontrano resistenze di segno opposto e rischiano di ampliare le opposizioni. C’è chi teme di ricevere troppo poco; chi di pagare di più (a causa delle maggiori trattenute), magari col rischio di vedersi ridurre, un domani, le prestazioni complementari: e chi di pagare per coloro che non ne avrebbero bisogno. E c’è anche chi considera la riforma troppo onerosa per i settori economici più fragili, che potrebbero essere chiamati a versare maggiori contributi. Nel frattempo, la sinistra ha pure messo in discussione il cuore del progetto. Quella delle pensioni –la votazione su AVS 21 docet – è una materia ultrasensibile. La revisione della LPP, oltre a essere complessa e controversa, è sorretta da un fronte politico-economico meno compatto. Con queste premesse, la riforma ha già un piede nella fossa. Il Parlamento cammina su un filo sottilissimo. Di compromessi forti non se ne vedono. Non sorprenderebbe se in campo borghese qualcuno cominciasse a pensare che sia meglio, per il momento, lasciare le cose come stanno (la situazione non sarebbe così drammatica) piuttosto che andare incontro a una disfatta alle urne.