Previdenza, grossi nodi e strade sbagliate
La previdenza sarà sempre fra i temi centrali della legislatura. Dopo l’approvazione della 13. AVS e la bocciatura della riforma della LPP, restano grossi nodi da sciogliere, specialmente nel primo pilastro. Innanzitutto, il finanziamento della nuova rendita, sul quale Governo e Parlamento si trovano già in disaccordo, con il primo che chiede «misure immediate», mentre il secondo vuole prendersi il tempo necessario per gli approfondimenti del caso; quanto basta per rinviare sine die una soluzione e scombussolare l’ambiziosa tabella di marcia del Consiglio federale, che prevede il voto popolare sull’aumento dell’IVA nel mese di settembre del 2025. In secondo luogo, c’è l’iniziativa del Centro sulla soppressione del tetto delle rendite AVS per le coppie sposate. Anche in questo caso si stima un impatto miliardario.
Oggi i coniugi ricevono una rendita massima pari a una volta e mezza la singola, mentre i conviventi due rendite intere. Questo dibattito potrebbe intrecciarsi con quello già controverso sulle pensioni delle vedove, che il Governo vuole limitare per parità di trattamento verso gli uomini (e anche per risparmiare). Il presidente dell’UDC Marcel Dettling ha dichiarato ieri al «Blick» che il suo partito non si opporrà a questa misura, purché in cambio il tetto massimo per le coppie venga portato al 175% (una volta e tre quarti la rendita singola). L’impatto finanziario sarebbe inferiore a quello dell’iniziativa, ma comunque notevole.
Il Consiglio federale, infine, dovrà presentare entro la fine del 2026 un piano di ampia portata per stabilizzare le finanze dell’AVS nel prossimo decennio. In questo contesto, già di per sé complicato, potrebbe inserirsi a breve termine un confronto sull’imposizione fiscale dei prelievi di capitale dal secondo e dal terzo pilastro al momento del pensionamento. Il Consiglio federale è intenzionato a riprendere - in che modo, in concreto, non è chiaro - la proposta del gruppo di esperti sui risparmi, che vede nella riduzione dei vantaggi fiscali concessi oggi agli assicurati un mezzo per incamerare almeno 220 milioni di franchi all’anno. Questa mossa ha già provocato una levata di scudi fra i partiti borghesi e sollevato qualche perplessità persino a sinistra. Per mettere sotto pressione il Consiglio federale, il PLR ha lanciato una petizione che ha raccolto più di 40 mila firme e che di fatto contesta i due «ministri» liberali.
Oggi il ritiro del capitale è soggetto a un’imposta progressiva alla fonte calcolata separatamente dal reddito, mentre le rendite sono tassate con l’imposta sui redditi. A parte il fatto che un inasprimento delle condizioni sarebbe dovuto solo a mere esigenze di bilancio e non di risanamento interno, si tratta di una strada sbagliata. Sopprimere le possibilità di risparmio fiscale per chi ritira il capitale penalizzerebbe soprattutto il ceto medio e in particolare coloro che hanno risparmiato per anni nel terzo pilastro per andare in pensione con una certa sicurezza economica. Secondo i dati dell’Ufficio di statistica, nel 2019 il 56% dei cittadini di età compresa tra i 25 e i 63 anni aveva fatto versamenti regolari nel terzo pilastro. Un cambiamento delle regole in corsa, inoltre, non deporrebbe a favore dell’affidabilità dello Stato, che prima promuove il risparmio con incentivi fiscali e poi alza il prezzo, rendendo oltretutto meno attrattiva la previdenza privata, un elemento sempre più importante del sistema pensionistico. Se i cittadini hanno interesse a risparmiare per la vecchiaia, anche lo Stato ha interesse a non peggiorare le condizioni quadro e a far sì che ci siano persone finanziariamente indipendenti che un domani non graveranno sulle sue casse. In generale, il prelievo di capitale, sempre più gettonato, è anche una risposta alla continua riduzione dell’aliquota di conversione mista del secondo pilastro (parte obbligatoria e sovraobbligatoria), che si applica ormai alla maggioranza degli assicurati. Renderlo più ostico sarebbe un errore.