Quel lutto senza fine in nome della verità
Fa «ancora male», ci dice una donna con il groppo alla gola. Perché il tempo non potrà mai rimarginare una ferita così grande. Non si può morire in casa anziani, se non per vecchiaia o per cause naturali. Invece è successo. Una, due, ventuno volte. In Ticino. A Sementina, all’istituto Circolo del Ticino, di proprietà della Città. I degenti sono deceduti a causa del maledetto coronavirus, durante l’ondata più acuta della pandemia, quella dei primi mesi del 2020. Cosa non è funzionato lo sapremo questa settimana. Oggi, di fronte alla Pretura penale di Bellinzona, si apre il dibattimento a carico del direttore amministrativo, della direttrice sanitaria e dell’ex capocure. Sono accusati di non aver rispettato alcune direttive cantonali per arginare la diffusione della COVID-19. Pur dicendosi chiaramente dispiaciuti per l’accaduto, negano ogni responsabilità.
Non nascondiamoci dietro un dito: la verità processuale non sempre corrisponde a quella assoluta. Quanto emergerà in aula sarà l’accertamento dei fatti sulla base dell’inchiesta condotta dal Ministero pubblico e delle prove acquisite agli atti. Dovrà comunque consentire a figli e nipoti che non solo hanno perso un proprio caro, ma anche la fiducia nelle istituzioni a tutti i livelli, di finalmente sapere. A loro, ai parenti delle vittime, va il massimo rispetto. Innanzitutto per aver permesso, grazie alle segnalazioni in Procura, l’apertura di un procedimento penale essendo costretti, così facendo, a rivivere il lutto. Qualcosa, a Sementina, dev’essere andato storto, altrimenti al termine delle indagini gli inquirenti avrebbero emesso un decreto di abbandono o di non luogo a procedere. Se si è arrivati in aula significa che il procuratore generale Andrea Pagani e la collega Pamela Pedretti sono convinti che le accuse possano reggere, sebbene nel frattempo sia caduta l’ipotesi di reato più grave prospettata inizialmente, quella di omicidio colposo.
In secondo luogo va mostrata deferenza verso chi ha dovuto piangere un familiare e da quasi tre anni attende una chiara presa di posizione da parte del Municipio di Bellinzona. L’Esecutivo ha ribadito a più riprese la fiducia nei confronti dei vertici dell’istituto ed affermato che le direttive emanate durante l’emergenza sanitaria sono state ossequiate benché i due rapporti dell’Ufficio del medico cantonale (contestati peraltro dalla direzione della casa anziani) dicano il contrario. Per il resto, fatta eccezione per le risposte alle numerose interpellanze ed interrogazioni in accese sedute di Legislativo, non ha mai voluto entrare nel merito dell’accaduto alla luce dell’inchiesta in corso.
È suo diritto farlo, ci mancherebbe. In caso di assoluzione, come auspicato dalle difese, non ci saranno problemi. Qualora invece gli imputati dovessero essere condannati in prima istanza, ecco che si riaprirebbe anche la questione (peraltro mai veramente sopita) della responsabilità politica. La destra e l’MPS, che hanno auspicato fin dall’inizio trasparenza sulla triste vicenda, torneranno alla carica ancor più combattivi. Cosa faranno il sindaco Mario Branda e i colleghi? Diranno che bisogna aspettare la crescita in giudicato della sentenza oppure trarranno quelle conclusioni che allo stato attuale ritengono «prematuro» dedurre?
Qualunque sia il verdetto, il processo non metterà comunque fine alla sofferenza e alla delusione dei familiari dei 21 anziani morti. Solo la verità potrà farlo, ribadiamo. È ciò che pretendono. Il fatto di non sapere li ha distrutti quanto la perdita della persona che amavano. Ora si ha la grande occasione di lenire, almeno in parte, quel doppio, immenso, dolore vissuto con profonda dignità. Non la si sprechi.