L'editoriale

Quel «Patto di Paese» a favore della sanità

In un anno che ha visto alcune istituzioni ticinesi uscire con le ossa rotte e con un danno d’immagine con pochi eguali nella storia recente della Repubblica e Cantone Ticino, la prospettiva di curarsi le ferite in una struttura all’avanguardia deve aver instillato nell’animo un’insperata dose di fiducia
Alan Del Don
11.12.2024 06:00

In un anno che ha visto alcune istituzioni ticinesi uscire con le ossa rotte e con un danno d’immagine con pochi eguali nella storia recente della Repubblica e Cantone Ticino, la prospettiva di curarsi le ferite in una struttura all’avanguardia deve aver instillato nell’animo un’insperata dose di fiducia. Non è uno scherzo, ma la verità. Perché se è acclarato che siamo un popolo che non disdegna la polemica – e per un nonnulla non ci cascavamo anche stavolta – è altresì assodato che per fortuna tutto pare essersi risolto al meglio in merito al futuro ospedale che sorgerà alla Saleggina di Bellinzona. Ente ospedaliero cantonale (EOC) e Città da una parte e Dipartimento del territorio (DT) dall’altra hanno stretto una specie di «Patto di Paese» per agevolare in tempi brevi la realizzazione del nosocomio.

Le premesse, diciamolo, non facevano presagire nulla di buono. Un parere giuridico del DT fa dipendere l’edificazione del complesso al rispetto di due condizioni, la più importante delle quali è l’impellenza di compensare i terreni che andranno sacrificati per far spazio all’istituto progettato dagli architetti Arnaboldi&Gaggini. EOC e Municipio ci hanno riflettuto un mese abbondante e poi, come abbiamo riferito lunedì, hanno rinunciato ad avvalersi di una controperizia, preferendo concentrarsi sulle prossime decisive e difficili fasi. Scongiurando nel contempo uno strappo istituzionale che non avrebbe giovato a nessuno. 

Almeno sull’assistenza sanitaria dei cittadini occorre evitare di litigare. La popolazione intransigente non avrebbe compreso inutili battibecchi e ulteriori cincischiamenti. Quindi veniamo al sodo pure noi. Il San Giovanni è quasi moribondo. Non si può pensare di continuare a metterci dei cerotti, oltretutto spendendo soldi pubblici in un periodo in cui le finanze del Cantone e dei Comuni stanno addirittura peggio. «Già allo stato attuale riesce difficilmente a far fronte alle esigenze infrastrutturali e ad un aggiornamento della propria logistica e tecnica di supporto», ci viene in aiuto il rapporto della giuria (presieduta dal vicepresidente del Consiglio di amministrazione dell’EOC Andrea Bersani) che ha scelto il concetto alla base del prospettato nosocomio da 380 milioni.

Un documento che va ben oltre, rendendoci edotti del fatto che «la durata di vita degli altri ospedali dell’Ente è da considerarsi limitata ai prossimi 30-40 anni». Pleonastico, a questo punto, sottolineare l’urgenza di costruirne uno al passo coi tempi. Alla Saleggina. Sì, proprio lì. Il committente (ossia l’EOC) è convinto che non solo sia la soluzione migliore, ma addirittura l’unica. A tal punto da seguire scrupolosamente i dettami del DT (non potrebbe comunque sottrarvisi: il diritto federale è imperante) per quanto riguarda il compenso della superficie resa edificabile attraverso il dezonamento di sedimi che oggi già lo sono. Sulla stessa lunghezza d’onda l’Esecutivo di Bellinzona, che ha addirittura fatto dell’infrastruttura uno dei suoi progetti strategici, alla pari delle Officine FFS di Castione, dell’innovativo quartiere che sorgerà in città al posto dello stabilimento industriale e della valorizzazione della Fortezza. 

Ed il Dipartimento del territorio? È pronto a collaborare, come annunciato ai ticinesi dalle nostre colonne dal solitamente poco loquace Claudio Zali. Il consigliere di Stato, il direttore generale dell’EOC Glauco Martinetti ed il sindaco della capitale Mario Branda sono persone pragmatiche. Continueranno ad impegnarsi al massimo per condurre in porto un dossier oramai già decennale. Uno per tutti, tutti per la sanità.