Quella Fiera dell’Est che riguarda tutti
L’effetto farfalla è una teoria che ormai tutti conoscono. È quella secondo la quale un gesto, un fatto apparentemente innocuo che accade in una parte del mondo finisce per produrre effetti strani, se non addirittura terribili, in un altro luogo del pianeta. Secondo questa teoria, in pratica, ogni cosa che accade sulla Terra è concatenata e quindi interdipendente. Non si tratta di un qualcosa di nuovo. Anzi, molto prima che venisse enunciata scientificamente da tale Edward Lorenz nel 1962, dell’effetto concatenante di ogni azione erano zeppi i racconti popolari. Ricordate, ad esempio, la ballata di Angelo Branduardi Alla fiera dell’Est, tratta da un antico canto pasquale ebraico: quella in cui il padre comprò un topolino che poi il gatto mangiò, e poi vennero il cane, il bastone, il macellaio e via via fino all’Angelo della morte che sistemava tutto alla sua maniera? Ebbene, oggi quell’effetto a catena descritto dalla filastrocca sembra essere definitivamente sdoganato e accettato da tutti come una realtà ineluttabile. Oggi è chiaro quasi a tutti che la storia può anche essere scritta dalle azioni di un singolo o di unità che, ancorché modeste, finiscono poi per produrre effetti lontani e impensabili. Se un angolo del globo cade in una situazione drammatica e noi ci sentiamo partecipi di quei sentimenti, la consapevolezza non deve però esaurirsi in una semplice globalizzazione della solidarietà. Occorre rendersi contro che il destino di ognuno è intrecciato con quello dei nostri simili ai quali, che ci piaccia o no, siamo comunque collegati. Per quanto possiamo sforzarci, però, non possiamo andare al di là della consapevolezza di far parte di una catena – anche se resterà sempre impossibile riconoscere l’anello che ci precede è quello che ci seguirà. Non sapremo, per citare nuovamente Branduardi, se siamo il topolino, il bastone, il fuoco o l’acqua fin quando non saremo arrivati alla fine della storia. E, detto tra noi, in quel momento la cosa potrebbe non avere più importanza. Quello che conta piuttosto è maturare la consapevolezza che non è più possibile girare la testa dall’altra parte chiudendosi nel proprio egoismo e nell’indifferenza. Non è sufficiente – se vediamo scatenarsi la guerriglia urbana in Francia, se sentiamo che in Afganistan hanno deciso di chiudere tutti gli istituti di bellezze per impedire alle donne di riunirsi tra di loro e confinarle ulteriormente tra le mura domestiche, se in Ucraina e in Russia continuano a darsele di santa ragione sfuggendo ad ogni logica di dialogo e se in Palestina è di nuovo scoppiato un conflitto tra le due fazioni – chiudere le nostre finestre e ignorare tutto ciò. Perché potremo eliminare il rumore che tutte queste situazioni provocano, ma non annullarne le conseguenze. Siamo in un periodo confuso, ricco di accadimenti spesso frutto di iniziative personali o di ristrette cerchie di persone, ma dalle responsabilità collettive. Tocca a ciascuno di noi provare a mettere in equilibrio le due cose. Per il nostro bene.