Strada e ferrovia, uno stop dal sapore amaro per tutti
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La decisione del Consiglio federale e di Albert Rösti di tirare bruscamente il freno a mano sui progetti che miravano a completare le infrastrutture di trasporto stradale e ferroviario poggia almeno su due motivi. In primis l’aumento considerevole dei costi, a suon di miliardi, rispetto a quanto previsto. Poi a pesare sulla scelta federale ha certamente avuto un notevole ruolo il chiaro no lo scorso novembre (nella misura del 52,7% in Svizzera e del 56% in Ticino) ai sei progetti concernenti gli agglomerati, nessuno dei quali concerneva il nostro cantone. La variabile finanziaria e quella derivante dalla volontà popolare hanno portato alla più classica delle soluzioni elvetiche: assegnare un mandato esterno di natura tecnica. Toccherà così al Politecnico di Zurigo sondare, esaminare, ponderare e presentare un rapporto in grado di indicare, letteralmente parlando, la via da imboccare in futuro. L’amministrazione federale, l’Ustra e il responsabile politico nella persona dell’UDC Rösti non escono bene dopo questo passo che vede tutti quanti arrendersi di fronte alle difficoltà e affidarsi a terzi per cercare di uscire dal pantano in cui si sono cacciati con scelte d’indirizzo poco oculate e che hanno prestato il fianco alla critica culminando con il no popolare novembrino. Lo spettacolo andato in scena ieri a Berna è di quelli ai quali avremmo preferito non assistere perché depone a favore di chi mette in forte dubbio la capacità di gremi statali tanto potenti in ragione di persone e risorse finanziarie, dai quali sarebbe legittimo attendersi molto di più che un vile, semplicistico e banale, passo indietro. L’aspettativa, a seguito della bocciatura alle urne, era di vedere in qualche modo la luce in fondo al tunnel, mentre ora ci troviamo in un vicolo cieco. O meglio, si vorrebbe che ad accendere il lumicino siano altri, nella fattispecie l’ETH di Zurigo. E questo, si badi bene, per indirizzare tutto il sistema, tanto gli spostamenti su gomma che quelli su rotaia. Ma, pensando ai due vettori, si può anche guardare la metà piena del bicchiere, quella che offre un’occasione unica e irripetibile di una valutazione sistemica tra rotaia e gomma che sarebbe intelligente mai considerare in concorrenza, ma complementari. Purtroppo, a dire che questa soluzione potenzialmente «win-win» non avrebbe funzionato è stato proprio il no popolare. Da rispettare, ci mancherebbe, ma sul quale è giusto, lecito e lungimirante ragionare. Perché, alla fine dei conti, ad interessare tutti noi cittadini è la nostra mobilità unitamente alla nostra qualità di vita. Che dipende anche dagli spostamenti.
A questo punto non resta che interrogarsi, con realismo e preoccupazione, sul destino che ci attende in Ticino, in particolare al riguardo delle prospettive per l’autostrada tra Lugano e Chiasso (con il progetto PoLuMe) e quello che è ormai il miraggio del collegamento veloce con il Locarnese. Nonostante le rassicurazioni di Rösti («i Cantoni che hanno detto no a fine novembre non verranno puniti»), quando ad esprimersi saranno i politici federali non ticinesi, sotto la cupola di Palazzo federale la musica sarà molto diversa e tasteremo con mano il risultato concretamente politico delle nostre scelte. Per le opere viarie a sud del Ponte Diga si può già azzardare il «De profundis». Nessuno si straccerà le vesti per spendere soldi di fronte a una marcata opposizione popolare che si è levata da quando è stata presentata la prima bozza di progetto. Tanto più che l’A2 già esiste e il problema di mobilità concerne il Ticino e la sua economia. Il fatto poi che noi ci prestiamo a supportare e sopportare gli effetti di quello che è un essenziale asse di transito dal Nord al Sud dell’Europa, a Berna non è mai sembrato generare grande scombussolamento emotivo e men che meno razionale interessamento. Neppure per AlpTransit, viste le troppe inutili parole spese senza lo straccio di un fatto compiuto. Un lumicino di speranza ci sentiamo di tenerlo acceso per l’A2-A13, dato che una strada veloce lì non c’è e la progettazione, certamente infinita, potrebbe culminare in una soluzione condivisa. Ma, stiamone certi, la migliore soluzione per fare fallire anche questo progetto sarà quella di dare vita a una battaglia ticinese senza esclusione di colpi. Insomma, si fa davvero presto a gioire per quella che, a prima partigiana vista, appare come una vittoria. Meno strade e più margherite? E chi non vorrebbe questo scenario idilliaco? Purtroppo, quello che abbiamo sotto gli occhi è il risultato di una brusca frenata, di quel semaforo rosso che aveva bocciato interventi puntuali, trascinando nel baratro l’intero sistema-Paese dei trasporti. Oggi con il dichiarato «passo indietro» scendiamo ancora più in basso, situazione che deve lasciare l’amaro in bocca anche a chi credeva di aver ottenuto un successo epocale.