Successione Amherd: evitato il peggio, ma le attese erano altre
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Alla fine il Centro è riuscito a metterci una pezza e a scongiurare lo scenario peggiore: presentarsi davanti all’Assemblea federale, il prossimo 12 marzo, con un solo pretendente per la successione di Viola Amherd, o tutt’al più con un secondo candidato alibi. Il partito proporrà un ticket di soli uomini, gli unici che hanno osato farsi avanti in due settimane caratterizzate da uno stillicidio di rinunce eccellenti – l’ultima in ordine di tempo, domenica sera, quella dell’ex presidente nazionale Christophe Darbellay – e di pressanti quanto infruttuosi inviti dei vertici ai propri politici a scendere in campo. In corsa ci saranno Markus Ritter, considerato fra i deputati più influenti a Berna e presidente dell’Unione svizzera dei contadini; e il consigliere di Stato di Zugo Martin Pfister, sconosciuto ai più, ma con le carte in regola per ambire a un posto in Governo. Il fatto di poter allineare due candidati evita per il rotto della cuffia al partito una situazione imbarazzante ma non il danno d’immagine per una fase delicata della sua storia in cui sono emerse impreparazione e fragilità. Prima le dimissioni del presidente nazionale Gerhard Pfister, poi a ruota quelle della consigliera federale, poi le polemiche interne contro lo stesso Pfister da parte delle donne del partito e poi il fuggi fuggi con il rifiuto di candidarsi da parte dei personaggi più in vista, che sembravano naturalmente proiettati all’alta carica: dal presidente dimissionario a Martin Candinas, da Benedikt Würth a Isabelle Chassot, passando per il capogruppo alle Camere Philipp Matthias Bregy. In parte per comprensibili motivi di natura personale e familiare, in parte per evitare l’eredità di un dipartimento scomodo come quello della Difesa e in parte, si presume, per non bruciare subito le proprie chance contando sul raddoppio della presenza in Governo nel 2027, a scapito del PLR. Eppure, la posizione di Gerhard Pfister è apparsa più controversa internamente di quanto si pensasse. Darbellay ha tenuto tutti sulle spine, ma a parte la visibilità acquistata in vista delle imminenti elezioni cantonali, sapeva che al massimo avrebbe potuto ambire a un posto sul ticket, per due ragioni: perché ben difficilmente l’Assemblea federale avrebbe dato il seggio a un romando e soprattutto perché sarebbe finito contro il fuoco di sbarramento dell’UDC, per il suo ruolo nell’estromissione di Christoph Blocher nel 2007. Quanto alle donne del partito, dopo essersi dimostrate molto combattive nella fase iniziale, contestando lo stesso Ritter, non sono riuscite a convincere nessuna collega. La provocazione dell’ex capogruppo socialista Roger Nordmann di appoggiare la verde liberale Tjana Moser in caso di assenza di donne sul ticket, la dice lunga sugli umori negli altri partiti di Governo. Certo, in aula arriveranno due candidati ufficiali, tanti quanti ne aveva portati il PS nel 2023 (Jans e Pult), ma stavolta senza nessuna selezione interna, per mancanza di nomi. La riunione del gruppo prevista il 21 febbraio per decidere il ticket sarà solo una ratifica dell’esistente. Sebbene prevedibile, l’operazione ricambio non è stata preparata in modo adeguato. Da un partito che a medio termine punta a costituire un terzo polo politico alternativo alla destra e alla sinistra ci si poteva aspettare di più.
La discesa in campo di Martin Pfister allontana parecchio ma forse non scaccia del tutto l’ipotesi di una «candidatura selvaggia», da parte di chi si attendeva una maggior scelta da parte del Centro o potrebbe cercare di approfittare dell’occasione per ridimensionarne le ambizioni. Eloquente il fatto che ieri lo stesso presidente, tirato in ballo dalla stampa svizzero-tedesca, abbia tenuto a sottolineare che in caso di un’elezione a sorpresa non accetterebbe la carica. Dall’estromissione di Blocher, nessun partito di Governo ha più giocato un brutto tiro agli altri, ma gli appoggi esterni dati a Daniel Jositsch in occasione della successione di Simonetta Sommaruga e Alain Berset sono un sintomo di insoddisfazione che potrebbe ripresentarsi sotto nuove spoglie. Intanto, Markus Ritter gode dei favori dei pronostici: è alla testa di una lobby potente, conta sicuramente su un’ampia rete di relazioni a Berna ed è conosciuto da tutti i suoi colleghi parlamentari. I quali, in queste occasioni, hanno spesso e volentieri preferito «uno dei loro» ai candidati esterni. Ma in questi anni Ritter si è fatto anche dei nemici. Quanto a Martin Pfister dovrà pedalare in salita e controvento. Nel suo arco ha più di una freccia, come la comprovata esperienza esecutiva, il suo grado militare e il fatto di provenire da una regione che da oltre quarant’anni non è più rappresentata in Governo. Battaglia comunque scontata? All’apparenza sì, ma senza dimenticare il detto che chi entra papa in conclave ne esce cardinale.