Tra Svizzera e UE un ultimo miglio pieno d'asperità
Mentre gli avversari del nuovo pacchetto di accordi bilaterali stanno sfruttando appieno la loro libertà d’azione con interventi regolari, il Consiglio federale continua a restare abbottonato sulle trattative in corso con l’UE. La prudenza è dettata dalla volontà di non mettere a repentaglio la posizione negoziale. Mercoledì, il Governo ha fatto il punto della situazione e fornito ai negoziatori le linee guida per la fase finale dei lavori. In effetti, l’ultimo miglio presenta ancora grosse asperità. Pubblicamente, tuttavia, è emerso ben poco. Se sulle questioni istituzionali e gli aiuti di Stato si parla di «sostanziali passi avanti», le posizioni di Berna e Bruxelles sono ancora distanti sulla libera circolazione delle persone e sull’entità del contributo svizzero alla coesione. Giovedì, a margine del vertice della Comunità politica europea a Budapest, la presidente della Confederazione Viola Amherd si è limitata a ribadire che un accordo con l’Unione è nell’interesse della Svizzera e che Berna continua a chiedere una clausola di salvaguardia per limitare l’immigrazione, mentre per quanto riguarda il contributo di coesione (destinato soprattutto ai Paesi dell’Est), in Governo non si sarebbe parlato di cifre.
Questo contributo di accesso al mercato, elargito ufficialmente a titolo volontario e per un periodo definito, ammonta oggi a 130 milioni di franchi all’anno. Bruxelles lo vorrebbe aumentare sensibilmente e rendere regolare. Il tema, lo si è già visto in passato, è tutt’altro che secondario nell’ottica del dibattito politico interno e potrebbe gravare su una situazione di partenza di per sé complicata. La grossa pietra d’inciampo è innanzitutto istituzionale e riguarda il modo di far convivere la democrazia diretta con le richieste europee in termini di ripresa del diritto e di composizione delle controversie nell’attuazione dei futuri accordi. Affinché il pacchetto abbia, un domani, una chance alle urne servono almeno tre condizioni: innanzitutto che si trovi una soluzione concordata per frenare l’immigrazione, che non ha smesso di crescere negli ultimi vent’anni; in secondo luogo, che ci sia anche il consenso dei sindacati, ottenibile però solo al prezzo di contropartite interne da parte del mondo economico; e, non da ultimo, che Governo e Parlamento (sempre che poi accettino l’esito dei negoziati) sappiano spiegare chiaramente perché la Svizzera ha assolutamente bisogno di questa nuova intesa. Senza una maggioranza politica consistente a fungere da sostegno e un argomentario solido, la partita rischia di essere già persa in partenza. Nelle ultime settimane, Bruxelles ha detto no a due riprese a una clausola di salvaguardia unilaterale. Ma il fatto che si continui a negoziare sta a significare che la questione non è chiusa. Si possono trovare anche altre soluzioni, se l’UE si dimostrerà più pragmatica e meno ostinata. Senza una soluzione sull’immigrazione, concordata o fatta in casa, con all’orizzonte l’iniziativa popolare sui 10 milioni d’abitanti, sarà difficile preservare la via bilaterale.