L'editoriale

Un Bitcoin a misura di sistema finanziario

La maggior parte delle operazioni di mining e le grandi quantità di criptovaluta già in circolazione sono in realtà concentrate in poche mani
Generoso Chiaradonna
16.11.2024 06:00

Da strumento rivoluzionario che doveva abbattere il sistema finanziario classico basato sulle banche centrali, a mezzo reazionario in mano a pochi per affermare lo status quo. È questa la possibile parabola del Bitcoin che con l’elezione di Donald Trump e soprattutto con l’accresciuto potere politico di Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo - è meglio ricordarlo - nonché il primo trilionario della storia, ha conosciuto performance da capogiro (ieri valeva circa 88.500 dollari), trainando al rialzo quasi tutte le altre criptovalute che sono ormai un paio di migliaia. Da metà ottobre il prezzo dei Bitcoin è cresciuto di quasi il 50%. Per rimanere a Musk, entro il 2027 l’inventore di Space X e della Tesla dovrebbe possedere un patrimonio di oltre mille miliardi di dollari, visto che si stima cresca a un ritmo del 109% l’anno. Sono pochini i mortali che possono vedere i loro beni raddoppiare di valore di anno in anno. Ma torniamo al Bitcoin.

Gli ideali iniziali del Bitcoin, concepiti nel white paper di Satoshi Nakamoto del 2008, miravano a creare un sistema finanziario decentralizzato, senza la necessità di intermediari come banche e governi. L’obiettivo era fornire una valuta elettronica peer-to-peer, cioè tra pari, che garantisse privacy, trasparenza e protezione dall’inflazione. Inoltre, era pensato per offrire a chiunque, ovunque, accesso ai servizi finanziari senza la necessità di infrastrutture bancarie tradizionali.

Con il tempo, però, molte di queste aspirazioni di presunta liberazione finanziaria sono state di fatto disattese. Sebbene il sistema sia tecnicamente decentralizzato, la maggior parte delle operazioni di mining (di estrazione di queste stringhe alfanumeriche che costituiscono questo strumento) e le grandi quantità di Bitcoin già «in circolazione» sono in realtà concentrate in poche mani. Questo va contro il principio di distribuzione equa e decentralizzazione. Insomma, sta ripetendo lo stesso schema della finanza tradizionale che i fautori della valuta digitale volevano combattere. Inoltre, l’ingresso di grandi istituzioni finanziarie, fondi di investimento e ETF con sottostante le cripto, ha trasformato il Bitcoin in un asset speculativo invece che in un mezzo di scambio quotidiano. La sua volatilità lo rende poco pratico per il commercio e lo si usa principalmente come strumento di investimento al pari di azioni, obbligazioni e altri prodotti simili. È un nuovo giocattolo della finanza, insomma. Infine, contrariamente all’ideale di libertà totale, molti governi e autorità di vigilanza dei mercati finanziari stanno introducendo normative per monitorare e controllare le transazioni in criptovalute, anche chiedendo la collaborazione e regolamentando i cosiddetti exchange che sono poi i punti online per entrare e uscire da questo mondo, per implementare norme di controllo ai fini di antiriciclaggio. Infine, nonostante le sue origini, Bitcoin è raramente usato per le transazioni quotidiane. Il suo valore percepito come riserva digitale ha prevalso rispetto alla sua funzione originale come mezzo di scambio. Alcuni lo considerano una forma di «oro digitale», cioè un bene rifugio contro l’inflazione o l’instabilità economica.

L’interesse per questa criptovaluta è però letteralmente esploso dopo l’elezione di Donald Trump che è passato da scettico a fan scatenato dei Bitcoin. Il recente aumento del prezzo è attribuibile a diverse ragioni legate alle aspettative di un ambiente più favorevole per le criptovalute. Durante la sua campagna, Trump ha promesso di rendere gli Stati Uniti - citiamo - «il centro globale delle criptovalute», suggerendo un quadro normativo più permissivo rispetto all’amministrazione Biden, che aveva invece adottato un approccio più rigido. Questa prospettiva ha alimentato l’ottimismo degli investitori e portato a un aumento della domanda di Bitcoin e di altre criptovalute. Ha anche promosso un progetto di finanza decentralizzata denominato World Liberty Financial. I lobbisti delle criptovalute hanno finanziato con più di cento milioni di dollari i candidati al Congresso favorevoli alla finanza decentralizzata. Uno degli applausi più forti lo ha avuto a un raduno elettorale durante il quale ha promesso di licenziare Gary Gensler, il presidente della SEC, la Security exchange commission che più volte si è schierato contro le criptovalute avviando anche inchieste che hanno portato in tribunale importanti aziende del settore (Kraken, Coinbase e Ripple). Secondo la sua tesi e non a torto, molte valute digitali sono in realtà titoli, la cui regolamentazione rientra nella competenza della SEC. Le aziende che le emettono e le commerciano dovrebbero essere quindi vigilate dall’autorità. Secondo altre tesi, dovrebbero invece essere considerate delle merci e per questo sottoposte alla Commodity futures trading commission che ha regole più leggere. L’arrivo di Trump è visto come portatore di chiarezza in questo ambito. Che cosa c’entra tutto questo con gli ideali originali libertari e di sicurezza di Nakamoto? Poco o nulla. È semmai una prova dell’ennesima innovazione finanziaria pericolosa per chi si avvicina senza cautela a questo mondo e fonte di profitto per i soliti big della finanza globale.