L'editoriale

Un esercizio sfiancante, vanitoso e sfuggente

Potrebbe essere la trama di un film, invece è la nuda e cruda realtà: la politica cantonale negli ultimi tre giorni ha offerto la solita poco edificante sceneggiatura
Gianni Righinetti
12.12.2024 06:00

È ancora lì, sospeso nel vuoto pneumatico, il Preventivo 2025. Anche ieri sera i lavori si sono conclusi senza una decisione definitiva su quello che sta diventando un tormentone. Il tutto in attesa dell’anno che verrà e di osservare poi ripetersi, esattamente e puntualmente, lo stesso esercizio. Perpetuando così un rito, ma non assumendo una rotta e una linea veramente responsabile. Potrebbe essere la trama di un film, purtroppo è la nuda e cruda realtà. La politica cantonale negli ultimi tre giorni ha offerto la solita poco edificante sceneggiatura: ore e ore di dibattito per un preventivo, un documento non particolarmente innovativo, certamente non rivoluzionario. Di carattere politico, senza dubbio, ma d’origine amministrativa, dato che si ripete ogni anno in forma di fotocopia, magari con qualche sfumatura, ma raramente con modifiche che lasciano il segno cambiando indelebilmente il volto del Cantone da chioccia a orco. Ancor prima dei difetti nella sostanza delle cose della nostra politica, occorre purtroppo badare alla forma. Si è sentito decine di volte il presidente del Gran Consiglio Michele Guerra lanciare messaggi e moniti di questo tenore: «Chiacchierate a bassa voce se volete chiacchierare». O aprire la seduta così: «Silenzio per favore, prendere posto e fare silenzio per favore». Ma stiamo scherzando! Non è accaduto una, ma decine di volte. Possibile che uomini e donne adulti chiamati a svolgere da eletti e sulla base di un mandato democratico dei cittadini un compito che richiede responsabilità non sappiano mettere freno alla lingua e al chiacchiericcio da bar nell’aula del Parlamento? Siamo dell’avviso che anche la forma sia sostanza. Il paradosso è poi che chi si rifiuta di ascoltare (perché in altre faccende affaccendato) diventa il primo a voler parlare. Parlare dal pulpito, per il verbale, per noi media e per farsi fare una foto da postare per direttissima sui social. Il messaggio è chiaro: «Io qui lavoro, non scaldo la sedia».

Trovarsi costretti a sottolineare questo stato delle cose è semplicemente desolante, persino svilente. Gli anni passano e il tempo dedicato ai dibattiti sui conti cresce, ma non il livello, le idee e le soluzioni nell’interesse di quel cittadino che viene citato solo quando fa rima con la convenienza. Ma il cittadino, suo malgrado, sa o deve sapere anche quello che accade tra coloro che chiedono, ammiccanti, la sua fiducia ogni quattro anni. Non facciamo di tutta l’erba un fascio, ci sono stati interventi di un certo spessore, ma quando si assiste a vere e proprie «arringhe», come ha osservato con piena ragione il consigliere di Stato Claudio Zali, c’è davvero da chiedersi che senso abbia tutto questo. Ci sono politici di ogni schieramento che, presi singolarmente, mostrano spessore, qualità umane e politiche. Ma la sintesi tra più deputati genera l’esatto contrario: il vuoto o il conflitto. A non avere alcun senso è pure il fatto che nelle commissioni si trovino degli accordi, anche dei compromessi, delle doverose compensazioni per non fare sprofondare oltremodo il deficit del Cantone e poco prima del dibattito parlamentare parta il festival degli emendamenti, tali da rimettere in gioco l’accordo, ancor prima delle cifre. Vien da dire che così non si fa, o meglio, se così si vuol fare si deve giocare a carte scoperte senza fare precipitare tutto nel caos. La vittoria di chi ha voluto il mantenimento pieno della crescita della spesa per la pedagogia speciale è stata schiacciante, ma il discorso non è tanto il fatto che per una posta che già aumenta (50 milioni di franchi quest’anno e 57 il prossimo) non si sia voluto affrontare un ragionamento di contenimento di 2 milioni, quanto dell’effetto «pecoroni» che ha generato. Il tutto mentre in sede commissionale c’era stato un sostanziale e tacito avallo da parte dei rappresentanti di tre gruppi (PLR, Lega e Centro). E chi negli ultimi giorni ha osato avanzare un «però» è stato tacciato di essere brutto, crudele e cattivo. Anche questo è il Ticino. Il preventivo annuale ha fatto il suo tempo, difatti negli anni ha perso il significato di previsione, ma tende a preservare l’esistente con sempre maggiori risorse, quando non ad aggiungere nuovi compiti (e spese). Con un preventivo fatto così non si danno visioni, non si prendono rischi, non si esercita compiutamente un ruolo politico e lo ha detto con estremo realismo Sergio Morisoli. Tutto diventa «irrinunciabile, insostituibile e insindacabile». E invece occorrerebbe davvero il coraggio di cambiare, di uscire dagli schemi, di rivedere il sistema indicando chi ha responsabilità di Governo e chi no, ma non di certo procedendo con il maquillage dei dipartimenti, che sa tanto di spot preelettorale. Non è più possibile perdere tempo, la capogruppo del PLR Alessandra Gianella ha suggerito di dare al Cantone una rotta di maggior respiro, non lo spezzatino annuale, ma una visione sul medio periodo, magari per il quadriennio, con scelte chiare e profilate evitando quell’esercizio sfiancante, vanitoso e sfuggente che oggi fa rima con preventivo.