Un primo passo importante per la sanità
È raro che una grossa riforma riesca a mettere tutti d’accordo, specialmente in un settore come quello della Sanità, in cui le diverse lobby spesso si ostacolano a vicenda, frenando i cambiamenti. Ma stavolta medici, casse malati e ospedali remano tutti nella stessa direzione per correggere un difetto di progettazione del sistema, che crea costi inutili, rallenta il coordinamento delle cure e aumenta gli oneri a carico degli assicurati. Il fatto che un intervento ambulatoriale (studio medico o day hospital) sia pagato interamente dalle casse malati mentre quello ospedaliero sia finanziato per oltre la metà dallo Stato genera una stortura. Gli assicuratori non hanno interesse a favorire le cure a costi più vantaggiosi. Al tempo stesso, visto che negli ultimi anni c’è stato un trasferimento dal settore stazionario a quello ambulatoriale, i Cantoni hanno visto diminuire la quota dei costi complessivi a loro carico, a scapito di chi paga i premi. Questi disincentivi generano effetti a cascata. L’introduzione del finanziamento uniforme delle prestazioni, in cui Stato e casse malati pagano la stessa quota indipendentemente dal trattamento, è un’occasione per superare questa situazione, accelerare il trasferimento dal settore stazionario a quello ambulatoriale (che costa meno), ridurre i ricoveri e bloccare lo spostamento degli oneri sulle spalle di chi paga premi (con un aumento della quota a carico dei Cantoni). Le casse malati saranno incentivate a proporre modelli assicurativi che promuovono le cure coordinate e che spianano la strada ai trattamenti ambulatoriali, favorendo così anche il mantenimento a domicilio del paziente. Certo, l’esperienza insegna che in questo campo bisogna essere prudenti e fare la tara a certe promesse. Sarebbe sbagliato farsi attese esagerate per i premi, anche a causa dell’inclusione nella riforma delle cure di lunga durata (dal 2032). Ma ci sono tutte le premesse per frenarne l’aumento perché si conferisce più efficienza al sistema e si pongono le basi per avviare una dinamica positiva. Un miglioramento è quindi plausibile, pur nella consapevolezza che andrà sorretto, in futuro, da altre riforme, da interventi puntuali di freno ai costi e da efficaci pianificazioni ospedaliere cantonali. L’importante è fare questo primo passo. Il trasferimento dallo stazionario è già in corso grazie ai progressi della medicina. E la riforma è funzionale a questo passaggio. C’è chi ha già guardato avanti. A Bienne si sta costruendo un nuovo ospedale più piccolo dell’attuale anche se la popolazione è in crescita (cfr. Tages-Anzeiger del 23 ottobre), mentre il centro ambulatoriale, che si trova in un’altra zona della città, viene ampliato. Nel finanziamento uniforme si vede anche uno strumento per combattere la carenza di personale qualificato, perché le cure ambulatoriali (non attive di notte e nei finesettimana) richiedono meno assistenza. Un no il 24 novembre lascerebbe le cose come stanno: forti aumenti dei costi e dei premi e permanenza dei disincentivi che frenano lo sviluppo dell’ambulatoriale. Questa riforma non è certo la panacea per tutti i mali ma è l’unico mezzo a disposizione per dare una svolta e smuovere un sistema sclerotizzato. È facile invocare genericamente altre soluzioni. L’alternativa è solo lo status quo. I sindacati all’origine del referendum dipingono questo progetto come una sorta di ottava piaga d’Egitto, sia puntando l’indice contro le casse malati per il maggior potere che assumerebbero (come, non si capisce), sia prevedendo sventure per il personale curante (che però lascia libertà di voto) e peggioramenti per la qualità delle cure degli anziani (salvo che Pro Senectute si è espressa per il sì). Il passato recente insegna: quando un tema è ostico è facile seminare il dubbio. C’è piuttosto da chiedersi qual è il vero obiettivo: sventare certi asseriti effetti negativi della riforma o mantenere una situazione non più sostenibile, così da spianare la strada alla prossima iniziativa sulla cassa malati unica?