L'editoriale

Un ritiro tardivo che non sorprende

Prima il disagio poi il malessere del presidente, la sua inadeguatezza durante una campagna per lui dispendiosa, imbarazzante e perfino umiliante – densa di gaffe e di scivoloni - sono emersi a più riprese in modo inoppugnabile
Paride Pelli
22.07.2024 06:00

Non sorprende il ritiro di Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca. Non può sorprendere, malgrado le smentite di facciata delle ultime settimane e le recenti dichiarazioni dello stesso interessato, che solo poche ore fa aveva fatto sapere di volere assolutamente proseguire la campagna dopo essere guarito dal COVID, infuriandosi con chi, tra gli influenti democratici, gli chiedeva di fare un doveroso quanto definitivo passo indietro. Non può sorprendere perché prima il disagio poi il malessere del presidente, la sua inadeguatezza durante una campagna per lui dispendiosa, imbarazzante e perfino umiliante – densa di gaffe e di scivoloni - sono emersi a più riprese in modo inoppugnabile. Alla fine il preoccupante peggioramento delle sue condizioni psicofisiche unito ad una pressione attorno a lui sempre più asfissiante – i dem al Congresso che gli chiedevano di farsi da parte erano arrivati a 36 (32 deputati e 4 senatori), cui aggiungere i coniugi Obama e la speaker emerita della Camera Nancy Pelosi – non gli hanno davvero concesso alternative.

A sorprendere, semmai, sono i tempi: Biden e il suo staff devono aver lottato con tutte le loro forze per cercare di scongiurare questo scenario inesorabile, aggrappandosi a una speranza che non c’era, basti pensare ai fondi di decine di milioni di dollari essenziali per la sua campagna congelati dai donatori proprio nei giorni in cui quelli per Trump registravano un boom fino a 400 milioni di dollari.

Biden, semplicemente, è rimasto solo: un uomo che dopo aver governato bene per quattro anni come presidente – risollevando abilmente l’economia e affrontando due guerre sanguinose in Ucraina e Israele – ha visto le forze (e gli alleati) abbandonarlo man mano, fino a costringerlo ad alzare bandiera bianca. Ora vi è da chiedersi, in tutta onestà, se un uomo che non è in grado di fare il candidato alla Casa Bianca può continuare a fare il presidente degli Stati Uniti per ulteriori cinque, importanti mesi. Sembra, questo, un discorso del futuro, ma per i democratici, ça va sans dire, il futuro è adesso: non c’è davvero più tempo per tergiversare, soprattutto ora che Trump è in grande ascesa dopo l’attentato a Butler che ha prepotentemente rilanciato le sue quotazioni. Lasciando la corsa, Biden ha subito espresso il sostegno a Kamala Harris in qualità di candidata del partito per la corsa alla Casa Bianca. Un’eventualità, questa, concretissima (difficile pensare a delle alternative)_ma che non crea unanimità tra i dem: c’è infatti chi, come la Pelosi, ha rivelato che per individuare un sostituto preferirebbe una competizione aperta davanti alla Convention di Chicago in agosto. Un po’ perché servirebbe a salvare l’apparenza democratica della nomina, un po’ perché consentirebbe, forse, di eleggere un candidato in grado di vincere o, almeno, di provare a mettere in discussione la vittoria di Trump. La 84.enne ex speaker è stata d’altronde la prima a esprimere pubblicamente dubbi su Biden e teme davvero che in gioco ci sia il futuro del Partito democratico e, più in generale, della democrazia americana. La scelta, a questo punto, è più delicata che mai: detto che con Biden in corsa – questo Biden - le probabilità di vittoria erano ormai ridotte al lumicino, vi è comunque da sottolineare che chiunque tra i dem si presenti oggi al rush finale corre il rischio di accusare fin dai blocchi di partenza subito un incolmabile ritardo. Più che una corsa contro Trump, quella del prossimo candidato dem sarà con ogni probabilità una rincorsa al repubblicano, scampato per pochi centimetri ad un assassinio e rialzatosi subito con grinta e determinazione. Ora più che mai, il favorito è lui, il «tycoon», che dovrà solo cercare di risultare meno divisivo possibile. In mezzo a tante incognite e a tanti colpi di scena, quel che è certo è che ne vedremo ancora delle belle da qui al prossimo 5 novembre, giorno delle presidenziali, in quella che verrà comunque ricordata come la campagna più sorprendente e sconcertante nella storia degli Stati Uniti d’America.

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