Un segnale ai giornali sulla loro importanza

Riguardo al delicato e discusso tema politico del sostegno al giornalismo, in particolare a quello cartaceo, che sta attraversando una crisi strutturale ed epocale, abbiamo già espresso la nostra posizione più volte, in particolare lo scorso settembre in un commento intitolato «La politica discute, ma la crisi si allarga». Più che uno scongiuro o una previsione – di solito ce ne permettiamo poche – il titolo era una semplice constatazione davanti alla cruda realtà. E infatti, puntualmente, la crisi si è allargata, toccando nei giorni scorsi, e non per la prima volta, anche il nostro cantone. Non è tuttavia solo un problema locale: il colosso Tamedia a settembre scorso ha fatto saltare almeno 55 posti. Lo ribadiamo: non si tratta di una crisi passeggera, bensì strutturale. Proprio per questa ragione servirebbero sostegni altrettanto organizzati, in grado di fronteggiare il mare aperto dei prossimi anni, dove rischia di farla da padrona la concorrenza straniera (i social media). Ebbene, un passo in questa direzione è stato fatto oggi. Il Consiglio nazionale si è infatti allineato agli Stati riguardo il sostegno indiretto alla stampa regionale e locale, pur chiedendo una revisione al ribasso degli stanziamenti suggeriti dal progetto commissionale (40 milioni di franchi anziché 45). Il dossier andrà ora alla votazione finale. Se tutto fosse approvato, contrariamente a quello che sostengono alcuni partiti usando l’alibi intermittente della stabilità delle finanze federali, si tratterebbe tutt’altro che di «un regalo». La somma, una volta distribuita su tutta la Confederazione, andrà semplicemente a mitigare, per sette anni, le perdite derivate da una congiuntura che sta colpendo il mercato pubblicitario e quello degli abbonati oltre a servizi indispensabili a un editore di giornali e riviste: il riferimento, chiaro, è alla Posta, che sta perseguendo obiettivi che fanno male – davvero male – all’informazione cartacea, non solo aumentando regolarmente le tariffe di distribuzione. Quella che era sembrata, all’inizio, una pericolosa provocazione del CEO Roberto Cirillo, cioè eliminare il limite delle 12.30 come orario per la consegna dei quotidiani, sta infatti diventando velocemente realtà. Abbonati ci scrivono regolarmente comunicandoci che leggere il Corriere del Ticino a pranzo non è esattamente come sfogliarlo a colazione. Ma a quanto pare la Posta, che agisce su mandato del Consiglio federale, ha obiettivi differenti. Si immagini un altro settore economico alle prese con un simile disservizio da parte di un Ente pubblico: volerebbero scintille. Solo ai giornali – e ai loro abbonati – si chiede di fare buon viso a cattivo gioco. Salvo, ça va sans dire, in campagna elettorale.
Certamente è in atto una transizione dell’informazione verso il digitale. Il giornalismo cartaceo si sta ripensando e riconvertendo: meno notizie flash e più analisi e scenari, eterna attenzione alla cronaca del territorio ma ancor di più ai decisivi progetti economici che vi vengono e verranno attuati, e infine più opinioni e commenti. Tutto questo sta accadendo, anche da noi, perché gli editori non possono permettersi di rimanere con le mani in mano, soprattutto con i minacciosi nuvoloni che si stagliano all’orizzonte. Ma il pubblico del giornalismo cartaceo non è il pubblico del digitale, o non soltanto. Una democrazia come quella svizzera deve fare ogni sforzo per sostenere un’informazione che si rivolga veramente a tutti, senza privilegiare un supporto o un altro. Ne va della tenuta sociale e politica della Confederazione, per tacer del fatto che un giornalista licenziato è davvero un pezzo di democrazia che se ne va. E che forse, con i tempi che corrono, non tornerà più.