Una vicenda che vede soltanto perdenti
La classica palla di neve che si è trasformata, per mancanza di ponderatezza e forse per temerarietà, in una valanga molto pericolosa per tutti, in particolare per la società civile: soltanto così si può commentare la vicenda dei giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti dopo il clamoroso sviluppo di ieri. Molto in sintesi, i due giudici avevano denunciato per il reato di pornografia il presidente del Tribunale penale cantonale Mauro Ermani, accusandolo di aver inviato a una segretaria un’immagine troppo osé e in generale di aver tollerato un clima di tensione sul luogo di lavoro. La vicenda, che poi è esplosa in altre ramificazioni, ha avuto un punto fermo solo quando il procuratore pubblico straordinario Franco Passini, incaricato di far luce sui fatti, ha emanato, a settembre scorso, un non luogo a procedere a favore di Ermani per quanto riguarda il reato di pornografia. La speranza era che le tensioni si allentassero. Tuttavia la situazione era oggettivamente andata già troppo oltre - fin dallo stesso invio delle foto in questione, davvero fuori luogo - e in modo del tutto inusitato per il Ticino e per la cultura giuridica svizzera. Era stato insomma già raggiunto il punto di non ritorno, dopo il quale le cose possono solo peggiorare. E così, ieri, si è aperto un altro capitolo, più nero dei precedenti: i due giudici sono stati addirittura destituiti. «La sanzione adottata è la più pesante prevista dalla legge» ha tenuto a precisare il Consiglio della Magistratura, che ha aggiunto che «la denuncia del collega per un reato che sapevano non sussistere è inconciliabile con la funzione di magistrato». Il fatto, alle nostre latitudini, è gravissimo. Se la valanga non è arrivata a valle sommergendo tutto (si legga: la fiducia dei cittadini nella Magistratura), poco ci manca. Vedremo ora l’effetto che avranno i ricorsi già preannunciati e come la ferita, molto profonda, verrà sanata da chi di dovere. Le cicatrici, comunque, si noteranno davvero a lungo, anche fuori dal nostro cantone.
Le riflessioni da fare su questa vicenda non sono poche. Partiamo dall’inizio. Il fuoco di fila di segnalazioni, contro segnalazioni, querele e denunce penali che ha coinvolto fino a cinque giudici da entrambe le parti e che ha fatto montare la vicenda a livelli da vero allarme civile, è sintomo di una preoccupante deriva della cultura della mediazione e della conciliazione all’interno di una delle istituzioni più delicate del consesso civile elvetico. E che tutto sia partito, con il dovuto rispetto per le eventuali vittime, da vicende che, per quanto pesanti, non sono certo equiparabili, per quanto ne sappiamo, a crimini di gran lunga più gravi, è purtroppo soltanto una aggravante. I giudici, più di altre figure pubbliche, sono tenuti a creare un clima quanto più possibile sereno sul luogo di lavoro e a evitare di attaccarsi frontalmente l’un l’altro: e questo perché hanno in mano, con le loro decisioni, il destino di persone e di aziende, e in ultima analisi dell’intera comunità dove vivono e operano. L’impressione che in questa vicenda si siano scatenate senza freni emozioni incontrollate, se non vere e proprie faide, si è purtroppo pericolosamente radicata nell’opinione pubblica che l’ha seguita con crescente sconcerto. Anche il Consiglio della Magistratura, ieri, ha parlato di conseguenze negative per l’immagine del Tribunale penale cantonale e per l’organo giudiziario stesso. Ci vorranno anni per far dimenticare, chiamiamola pure così, questa pièce di teatro tragicomica, con tanto di immagini imbarazzanti diventate perfino meme sui social media.
Seconda riflessione. Il danno alla comunità esiste ed è concreto. I due giudici destituiti con effetto immediato avevano in carico diversi procedimenti che ora subiranno una battuta d’arresto non si sa quanto lunga. È scontato, al netto di come procederà la questione dei ricorsi, che si cercherà di trovare con urgenza due sostituti provvisori, ma cittadini e aziende che avevano in corso cause legali magari decisive per la propria sorte saranno obbligati ad aspettare che la situazione torni a una passabile normalità. Comunque si chiuda questa vicenda, era dovere di ogni magistrato coinvolto che non si arrivasse a questi parossismi.
Terza riflessione, più politica. Il polverone giuridico è stato via via strumentalizzato dai vari partiti, e senza esclusione di colpi. Altra benzina sul fuoco, ça va sans dire, come se si fosse perso il tradizionale (e peraltro molto apprezzato dalle persone che prendono casa o sede in Ticino) equilibrio svizzero a favore di una litigiosità arrivata fino al limite dell’opportunismo. Che la vicenda non sia finita qui, dunque, può solo preoccuparci, perché anche i prossimi inevitabili sviluppi potranno fomentare la politica e far proseguire uno scontro che, finora, ha visto solo perdenti.