L'editoriale

Vite spezzate aspettando una pace giusta

Episodi come l’attacco all’ospedale pediatrico di Kiev hanno l’effetto di tenere le nostre coscienze sul filo, aggrappate a un senso di giustizia
Paolo Galli
11.07.2024 06:00

Dall’inizio della guerra contro l’Ucraina sono stati uccisi almeno 589 bambini. I bimbi feriti sono oltre 1.300. A Gaza, i morti - la maggior parte dei quali, donne o appunto bambini - sono decine di migliaia. E poi c’è la crisi umanitaria in Sudan, Paese distrutto, con centinaia di migliaia di minori malnutriti, privi di assistenza e di scolarizzazione. In perenne pericolo. E ci sono altri fronti ancora - Haiti, Myanmar, Siria, per citarne alcuni -, che provocano ulteriore morte, e ferimenti, fame. E paura. È questo l’aspetto che ha caratterizzato il recente attacco di Mosca all’ospedale pediatrico di Kiev. La paura. La minaccia di morte, la privazione della libertà di vivere serenamente la propria età e addirittura di affrontare la propria malattia. In questo senso, parliamo di vite spezzate. Il che va oltre il numero delle vittime e dei feriti. Va oltre la geografia dei conflitti. Non è una questione di Ucraina, di Gaza, di Sudan, di paragoni. Il tema non è la classificazione dei conflitti secondo le loro maledette cifre. È il fatto che i bambini dovrebbero poter essere bambini sempre, in ogni epoca e in ogni luogo. Parliamo del loro diritto di vivere sicuri, nutriti, accuditi, amati, di poter godere di un’istruzione. La Convenzione sui diritti dell’infanzia parla anche del diritto di essere ascoltati, di essere presi sul serio. E, per ogni bambino, di poter sfruttare il proprio potenziale. Non è così in Ucraina, men che meno lo è a Gaza, non lo è in alcun luogo di guerra. Il potenziale di un bambino equivale ai colori e ai profumi che è destinato ad acquisire un bocciolo, per propria natura, nella sua evoluzione a fiore. È il futuro. E ci sono luoghi senza futuro. E questi luoghi sono sempre più vicini alla nostra comoda inconsapevolezza. E allora ci sono episodi, proprio come l’attacco all’ospedale pediatrico di Kiev, che hanno l’effetto - per certi versi tragico, per altri salvifico - di tenere le nostre coscienze sul filo, aggrappate a un senso di giustizia. E di mantenere in prima pagina l’orrore, la disumanità. Di dare valore alla pace e di chiederla, di chiedere una pace giusta, di pretenderla. Di non accettare altro.

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