L'editoriale

Voto tedesco, segnali europei

Le elezioni politiche di domenica scorsa sono state una sorta di esame di maturità delle democrazie rappresentative
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
25.02.2025 06:00

Nel voto tedesco c’è ognuno di noi. In tanti, tantissimi modi. E non solo perché la Germania è la più grande economia europea e dalle sue scelte dipende il benessere dei suoi partner. Dentro e fuori l’Unione. Ma soprattutto perché le elezioni politiche di domenica scorsa sono state una sorta di esame di maturità delle democrazie rappresentative. Uno stress test.

Ci si chiedeva, per cominciare, se il quadro politico avrebbe resistito al colpo di maglio di un’ingerenza, tanto potente quanto sguaiata, come quella di Elon Musk, ma anche di Donald Trump e J.D. Vance, a favore di Alice Weidel e della sua formazione di estrema destra. L’AfD ha ottenuto un eccellente risultato, con oltre il 20 per cento ma non governerà. La buona notizia, per i malconci stati di diritto, ancora aggrappati alla divisione dei poteri messa alla berlina dal ciclone Trump, è che una partecipazione eccezionale al voto ha frenato la polarizzazione e la frammentazione del sistema. Un’affluenza più bassa forse avrebbe premiato di più i partiti estremisti. Il richiamo al voto utile ha funzionato, penalizzando per esempio chi stava incerto sulla soglia dello sbarramento al 5 per cento. Se la democrazia è in pericolo la gente va a votare in massa. Non è un segnale da poco.

Il nuovo cancelliere, Friedrich Merz, che è più a destra della sua rivale storica Angela Merkel, ha detto che non cercherà i voti dell’AfD. Bene. Il cosiddetto «cordone sanitario» resiste. Ma dobbiamo chiederci, con grande sincerità, se abbia ancora senso quando esclude, non una formazione marginale, ma un partito votato da un tedesco su cinque. Soprattutto tenendo conto che è stato ampio il voto popolare nelle regioni dell’Est, che si sentono escluse e penalizzate, sia per l’AfD sia per la sinistra radicale della Linke. Il «cordone sanitario» non sarà, al contrario, una forma di attrazione, oscura e perversa quanto si vuole, di tutti coloro che si ritengono a torto o a ragione, emarginati? Questo è il dilemma drammatico che scuote molte altre democrazie europee: dalla Francia all’Olanda, all’Austria.

Merz ha poi detto che bisogna fare presto. L’Europa aspetta con ansia un governo tedesco nei suoi pieni poteri. Ma la formazione di una grande coalizione con i socialdemocratici della SPD, umiliati dalla peggiore sconfitta della loro storia, sarà tutt’altro che semplice. Il neo cancelliere promette un governo per Pasqua. Sembra presto rispetto ai tradizionali negoziati. Ma oggi, di fronte all’urgenza dei problemi, alla velocità con cui cambia lo scenario geopolitico, sembra un’era geologica. E questo è il lato debole delle democrazie che sono fatte di procedure lunghe e articolate. Sempre meno comprensibili e accettabili per cittadini immersi in una quotidianità in profondo e vorticoso cambiamento. E se la nuova grande coalizione dovesse fallire, con il ritorno anticipato alle urne, sarebbe un segno di debolezza di una democrazia, e non di forza come l’alta partecipazione di domenica ci induce a ritenere.

Il governo che verrà giocherà le sue carte soprattutto sull’economia, sul taglio delle tasse e sul contenimento dell’immigrazione. La Germania è l’unico dei grandi Paesi europei ad essere rimasto sui livelli pre COVID del 2019. Un maggior flusso di investimenti non sembra realizzabile senza togliere il cosiddetto «freno al debito» (ma per cambiarlo ci vuole il voto di due terzi del Bundestag). Soprattutto se Merz vorrà perseguire il progetto di un’Europa indipendente, sotto il profilo strategico, dagli Stati Uniti. E ciò significa maggiori spese per la Difesa. Curioso notare che il futuro dell’Unione europea dipenda dal riarmo tedesco.

Il suo primo viaggio sarà a Parigi nel tentativo di riaccendere quel motore franco tedesco dell’Unione europea, da anni in folle. E poi Varsavia. Una novità rilevante. La grande attenzione verso la Polonia preoccupa i Paesi del Mediterraneo, Italia in testa, che temono di incidere di meno. Gli equilibri cambiano. La direzione resta incerta.

In questo articolo: