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Alvaro Lojacono e il tribunale della sua coscienza

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Carlo Silini
02.06.2021 06:00

Ho seguito negli scorsi giorni, con commozione, sulle emittenti italiane, le celebrazioni per le ricorrenze dei terribili «anni di piombo», in Italia, ad opera delle Brigate Rosse, culminati con il rapimento Moro e con la sua scorta trucidata. Ho seguito anche l’arresto recente, in Francia, dei terroristi assassini italiani di quei tempi, già processati e condannati, ma a piede libero. Ho letto che alcuni di loro, interrogati, hanno avuto il coraggio di dire che le loro vittime sono state «ampiamente risarcite». Noi, qui in Ticino, ospitiamo da molti anni il Lojacono-Baragiola, che faceva parte attiva della «combriccola» di via Fani. Non mi risulta che le nostre autorità abbiano fatto qualcosa per assicurarlo alla giustizia della sua terra di origine. Vorrei quindi sapere, secondo giustizia, cosa ne pensa di questo individuo, e per finire, cosa ne facciamo.

Sandro Mombelli, Stabio

La risposta

Caro Sandro Mombelli, per quanto ne sappiamo, nella prima parte della sua vita Alvaro Lojacono-Baragiola ha aderito anima e corpo all’ideologia sanguinaria delle BR, partecipando ad alcuni dei delitti più efferati del gruppo. Il suo errore, anzi: la sua colpa, è la colpa di tutti i terroristi: mettere la causa al di sopra del valore della vita umana. Sul piano teorico, a seconda delle ragioni che la motivano, la lotta può anche essere legittima e perfino giusta, ma smette di esserlo quando i metodi per perseguirla prevedono lo spargimento di sangue. Tralasciando gli altri delitti, in quegli anni per la causa Lojacono ha preso parte a diversi omicidi. Ed è stato più volte condannato. La sua biografia racconta anni di fuga e latitanza in Algeria, Brasile e in Svizzera, camuffamenti (ha anche animato quiz alla radio RSI) e infine processi e lunghe detenzioni (nel 1989 la Corte delle assisi criminali di Lugano l’aveva condannato alla reclusione perpetua per correità nell’assassinio del giudice Tartaglione, pena poi ridotta a 17 anni). Il tutto sullo sfondo di inghippi giuridici legati alla prescrizione dei reati commessi e all’impossibilità di estradarlo in Italia. E oggi – a quarant’anni di distanza dai fatti – Baragiola può muoversi liberamente in Svizzera (vive nel canton Friborgo, non in Ticino) anche se, essendo colpito da un mandato di cattura internazionale, rischierebbe di essere nuovamente arrestato se venisse trovato fuori dai nostri confini. Cosa ne facciamo?, mi chiede. Noi nulla. La Svizzera non concede l’estradizione dei suoi cittadini: Alvaro Lojacono ha la doppia nazionalità italo-svizzera e Berna non intende fare un’eccezione per il suo caso. Cosa penso di lui? Che dev’essere difficile portare nella coscienza il peso di azioni quasi impossibili da perdonare e perdonarsi. Anche se le hai fatte quando eri poco più che ventenne in un contesto di fanatismo ideologico. Mi chiedo fino a che punto la sua lotta per ripartire da un’esistenza diversa e «rispettata» sia un ripiego o un’autentica maturazione in seguito a una dolorosa consapevolezza di alcune antiche e irrimediabili scelte. Ma a questa domanda possono rispondere solo due persone: lui e Dio.