I Leopard, la RUAG e la tegola per Amherd
Non è un’estate propriamente tranquilla per Viola Amherd. Dopo la caduta in montagna a fine luglio, che le ha causato la rottura di un gomito, alla ripresa dell’attività politica la «ministra» della Difesa si ritrova una gatta da pelare. Le dimissioni della direttrice della RUAG Brigitte Beck non hanno messo a tacere le polemiche, ma ne hanno attizzate di nuove. Il Parlamento vuole fare luce sia sulle esatte circostanze della sua partenza, spiegata ufficialmente con certe sue dichiarazioni (avventate) sulla riesportazione di armi, sia sull’accordo per la vendita alla tedesca Rheinmetall di 96 carri armati italiani in disuso Leopard 1, con destinazione finale l’Ucraina. Anche Amherd sarà chiamata a dare spiegazioni. Ad oggi, è presto per dire se questa vicenda potrà o meno avere ripercussioni per la consigliera federale, ma è certo che quest’ultima avrà gli occhi puntati addosso. È possibile che la questione venga già sollevata, la settimana prossima, dalla Commissione della politica di sicurezza del Nazionale e quella successiva dalla commissione sorella degli Stati. I due presidenti, entrambi UDC, hanno dichiaratato ai giornali del gruppo CH Media di voler appurare se e in quale misura il Dipartimento della difesa sia stato coinvolto nelle trattative per la stesura del contratto con i tedeschi, siglato a metà febbraio ma definitivamente «saltato» a fine giugno, dopo il no del Consiglio federale alla vendita dei vecchi carri. Anche la Commissione della gestione potrebbe essere chiamata in causa.
La vicenda, ricostruita cronologicamente da un’inchiesta della RSI, presenta in effetti punti non del tutto chiari. I mezzi blindati, tuttora depositati in Italia, erano stati acquistati nel 2016 per 4,5 milioni di euro. Lo scopo della RUAG era di rivenderli, anche sotto forma di pezzi di ricambio. Per anni, però, i carri sono rimasti immagazzinati senza trovare un acquirente. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, alcuni Paesi hanno manifestato interesse per acquistare questi mezzi prodotti negli anni Sessanta, farli rinnovare in Germania e poi trasferirli in Ucraina. La RUAG aveva firmato il contratto con la società tedesca proprio mentre incassava un no preliminare dalla SECO sulla possibilità di procedere. Nel contratto si precisava che se entro la fine del mese di aprile la Svizzera non avesse concesso tutte le autorizzazioni, Rheinmetall avrebbe potuto recedere dall’acquisto. Una richiesta formale è poi stata sottoposta alla SECO solo il 27 aprile. Credendo che ci fossero concreti spazi di manovra, l’Olanda ha iniziato a fare pressione su Berna per ottenere il via libera alla vendita, che però non è mai arrivato. Il Governo, il 28 giugno, ha stroncato ogni velleità, invocando la neutralità e la legge sul materiale bellico. Da qui sono sorte molte domande, rilanciate dalla stampa svizzero-tedesca, sia sull’operato della RUAG sia sul ruolo della consigliera federale.
Amherd sapeva o non sapeva delle trattative in corso fra RUAG e Rheinmetall sfociate nel contratto in febbraio? Vi ha preso parte? E se all’inizio non sapeva, quando precisamente l’ha saputo? O è stata un’iniziativa autonoma di Beck? Quest’ultima si sentiva forse incoraggiata ad andare avanti dalle posizioni meno rigide di Amherd sulla neutralità? La RUAG ha detto che Amherd non è mai stata coinvolta nelle trattative né informata in anticipo, e che la questione dei panzer non c’entra nulla con la partenza di Beck. Altri però ritengono poco plausibile questa versione, anche perché fra RUAG e dipartimento i contatti sono regolari. Delle due l’una. Se la consigliera federale fosse stata al corrente significa che avrebbe indirettamente avallato l’operato di un’azienda federale nonostante le norme restrittive sulla riesportazione di armi. Se invece non sapeva davvero nulla di un affare politicamente esplosivo, vuol dire che non aveva sotto controllo la situazione. All’opposto, c’è chi vede dietro gli attacchi ad Amherd l’ombra della campagna elettorale. Quelli della riesportazione di armi e della neutralità sono temi che si prestano ad essere sfruttati politicamente. Ora, è troppo presto per dire se si tratta solo di un polverone passeggero o se la posizione della consigliera federale potrebbe uscirne indebolita. Vale la pena riprendere il pronostico fatto da un confidente di Palazzo alla «Tribune de Genève». Nessuno ha interesse a mettere veramente in difficoltà la consigliera federale, che ha un ruolo importante in Governo. Al massimo, Amherd rischia di scontare qualche malumore in dicembre quando sarà eletta presidente della Confederazione.