L'opinione

I premi letterari e il valore di un romanzo

Fatico ancora oggi a capire quali siano stati i criteri di scelta dell'assegnazione del Premio Strega dell'anno scorso a Ada D'Adamo, con il suo libro «Come d'aria», insignito anche di altri riconoscimenti
08.07.2024 12:00

Fatico ancora oggi a capire quali siano stati i criteri di scelta dell'assegnazione del Premio Strega dell'anno scorso a Ada D'Adamo, con il suo libro «Come d'aria», insignito anche di altri riconoscimenti. Le mie perplessità sullo Strega, che alcuni ipotizzano essere giunto alla sua fase terminale, mi consentono di fare alcune considerazioni. La reputazione e la credibilità del Premio Strega si sono affermate, nel passato, in edizioni che hanno premiato grandi nomi e grandi scrittori, accedendo così ai piani alti della letteratura. Il libro della D'Adamo trovo sia più vicino al genere giornalistico-narrativo che letterario, perché è la testimonianza di un'esperienza a tratti didascalica, che potrebbe essere costruita con i canoni di un'intervista giornalistica, con la tecnica delle domande «fantasma», che non appaiono nel testo, per permettere al soggetto, che si racconta, di abbandonarsi a un flusso di coscienza. Si tratterebbe di cambiare la narrazione in prima persona, anche quando si rivolge direttamente alla figlia, e tramutarla in un discorso indiretto. Mi sono chiesta e mi chiedo tuttora, in che misura la morte della D'Adamo abbia influito nell'assegnazione del premio, forse più sull'onda dell'emotività, o forse più in risposta alle richieste del mercato dell'editoria e del marketing, che favoriscono temi più vendibili. O se invece ci si debba attenere rigorosamente al valore letterario, e quindi al valore della scrittura, alla sua specifica funzione, in tutte le sue valenze, per mantenere il livello qualitativo del romanzo tradizionale, pensando in particolare allo stile del Novecento. Come dice Milan Kundera, il romanzo dev'essere un esame lucido dell'esistenza, con un'architettura, una forma e una struttura che non si limitino al racconto di una porzione di vita, come invece è il caso di questo libro autobiografico. Il romanzo deve contenere la spietata analisi degli stili di vita, l'anticonvenzionalismo, la denuncia, la ribellione, il sarcasmo, il sovvertimento delle forme sociali, la critica al momento storico,  o il rimescolamento delle ideologie, e molto altro ancora. Jorge Luis Borges sosteneva che ogni grande scritto crea i sui precursori e ci spinge a guardare il passato in maniera diversa, in quanto l'opera modificherà la percezione del passato e del futuro. Perciò la letteratura si rivela un campo di tenzioni, e di forze che si producono e si contrappongono, entrando in dialogo tra loro, o in antitesi, per fornire al lettore un arcipelago di punti di vista, un luogo nel quale si ritrova o si distanzia, per cambiare la prospettiva sulle cose e sul mondo. Senza sminuire i voti e l'analisi degli intellettuali, dei traduttori e dei professionisti del settore in materia di premi letterari, esperti che cercano di contrastare le pressioni dei grandi gruppi editoriali, chiamati a decidere a chi assegnare lo Strega, mi chiedo in che termini si possa parlare di un caso letterario o di un romanzo, affinché venga classificato nell'insieme universale, complessivo e riconosciuto dalla letteratura. L'arte del romanzo, e del racconto, e qui estrapolo un pensiero, ridotto ai minimi termini, di Milan Kundera, non è indagare la realtà ma l'esistenza, e credo che Kundera intendesse ben altro rispetto al senso di questo «caso letterario», che racconta una porzione di vita reale, e forse per questo si è potuto azzardare l'idea che l'esistenza si rivela, in parte, conoscenza condivisa, di una condizione umana poiché descrive un dramma esistenziale; caratteristiche che in parte appartengono alla costruzione del romanzo, ma che non ne costituiscono la parte preponderante. La ragion d'essere del romanzo, afferma ancora Kundera, è quella di spiegare solo quello che sa spiegare. Ricorro alle virgolette quando parlo di «caso letterario» soprattutto perché  non riesco ad annoverare Ada D'Adamo tra le romanziere e le scrittrici che mi hanno illuminata negli anni, e penso a una Mary Schelley, a Virginia Woolf, a Marguerite Duras, a Agota Kristoff e a Grazia Deledda, per citarne solo alcune. Pur avendo un suo diritto di cittadinanza e quindi riconoscendo a «Come d'aria» una sua funzione sociale, mi sono trovata in difficoltà perché spesso ha prevalso il desiderio di non portare a termine e abbandonare la lettura. Questa forma autobiografica illustra una storia personale, che è circoscritta al racconto personale, del tutto priva di elementi di finzione, onirici o ancor più senza correlazioni con il pensiero filosofico, che leghino tra loro la poetica alla prosa, così come le scrittrici, che ho citato, hanno invece saputo fare. Sarebbe a dir poco incongruo e folle paragonare l'autobiografia della D'Adamo con «L’Altrieri» di Carlo Dossi, che ha scritto un romanzo autobiografico di un diciottenne che ricostruisce il breve corso del proprio passato; o con il romanzo di Ernest Hemingway «Addio alle armi», basato sulle sue esperienze. Ma ripeto il paragone non ha paragoni. «Come d'aria» è un libro che non mi insegna, e non aggiunge conoscenza, indagando la complessità del sociale, ma ha semmai l'intento di sensibilizzarmi su alcuni aspetti del tumore e della disabilità.

Alcuni aspetti letterari

La scrittura con cui la D'Adamo narra la si ritrova nel suo stile piuttosto semplice, carattetizzato da frasi concise, che fanno pensare più alla struttura di un diario che a quello di un racconto o di un romanzo. Il ricorso a frasi come « il ruggito dei pensieri mi si affollavano nella mente» oppure« giù nel cortile, nel buio, un gatto cerca riparo nella notte. È bagnato, infreddolito, spaventato» oo ancora «brevi attimi di felicità che fioriscono tra le pieghe dei giorni» sono descrizioni metaforiche che ritengo siano scontate, più utilizzate nel parlato, e venate da una sorta di infantilismo. Se c'è una cosa che mi lascia segni profondi, quando leggo, è proprio la sintassi elaborata, la costruzione dei periodi complessi, gli intrecci densi di riflessioni, anche solo pensando all'intertestualità. La mia valutazione sul piano dei contenuti non trova quindi molto riscontro sul piano letterario, che mi permetta di dare un giudizio di valore al libro, che l'autrice stessa non ha voluto definire un romanzo, bensì un «memoir». Infatti sulla prima di copertina non lo si menziona.

Alcune note sul contenuto del libro

Il libro di Ada D'Adamo «Come d'aria» (Elliot edizioni) accompagna il lettore in un'esperienza autobiografica. Forzando a fatica i miei stati d'animo, mi sono ritrovata nel mondo della disabilità, e di chi ha un tumore al seno, in una porzione di realtà che descrive ciò che tendiamo a rimuovere: la malattia e la diversità. Pur non avendomi particolarmente colpita, la storia mi ha richiamata alle cose essenziali, allontanandomi dagli ideali di bellezza e perfezione esteriore. La figlia Daria è nata con una malformazione al cervello, che le avrebbe causato un ritardo cerebrale e gravi difficoltà comunicative e motorie; mentre Ada, la madre, ha scoperto di avere un tumore al seno.

Qualche nota sul titolo

La scelta del titolo, primo indicatore semantico che ha in nuce molteplici significati, ha la sua rilevanza. Riconosco originalità al titolo perché lo si nota subito, essendo un segno, un indizio, e quindi dopo aver tratto una prima considerazione sul suo significato, l'autrice mi conferma il suo intento: utilizzare il nome proprio della figlia, che si tramuta in portatore di significati intrinseci. «Come d'aria» appunto, è il richiamo a Daria, che si presta a una similitudine paragonata all'aria, che evoca leggerezza, non disgiunta dall'inconsistenza materica. L'autrice descrive una vita appesa e sospesa in aria, per aria, in un luogo indefinito. E non è forse l'aria l'elemento vitale, miscuglio gassoso di azoto e ossigeno, indispensabile alla nostra sopravvivenza? Però l'aria è anche invisibile, al pari di chi è disabile o malato di tumore. È come voler indicare qualche cosa che preannuncia la presenza di una vita in bilico, di un corpo informe, e di una condizione esistenziale. Ed è infatti l'incipit del libro a confermare la mia interpretazione: «Sei Daria. Sei d'aria. L'apostrofo si trasforma in sostanza lieve e impalpabile».  Anche la gravità ha il suo peso, gravità di cui è priva Daria, per la sua tendenza a non cadere verticalmente al suolo; e gravità come pesantezza di una sofferenza fisica. Si è detto di questo libro che tutto passa attraverso i corpi di Ada (lei è una ballerina che volteggia nell'aria) e di Daria (il cui corpo è invece in balìa dell'aria) ma molto si intreccia con il legame fisico e con il filo invisibile di due anime segnate da un destino impietoso, che le avvicina o le allontana ma non fa mai di loro due esseri disamorati. Il libro ha di certo il pregio di parlare di disabilità e di tumore.