Tra il dire e il fare

Il calcio non è un'americanata

Rimane un bel problema sul tavolo che è quello dell’identità sportiva
Alessio Petralli
Alessio Petralli
08.07.2024 06:00

Il gioco del calcio è una cosa seria! Basterebbe di questi tempi considerare lo spazio che occupa nei discorsi di tante persone e il mero aspetto quantitativo ne sancirebbe una sua importanza non solo “giocosa”. Le passioni sono il sale della vita e il calcio è una passione che fa patire e gioire come poche altre. Bisognerebbe quindi trattare con cura questo bene prezioso, senza peraltro dimenticare che le cose davvero importanti della vita non sono certo qualche partita di calcio che, per intensa e affascinante che sia, non decreta i destini di una nazione e dei suoi cittadini. Anche se pure il calcio può aiutare a prendere la direzione giusta.

I sociologi che se ne sono occupati non sono concordi, ma crediamo che la vittoria italiana al Mundial spagnolo del 1982 abbia contribuito non poco al fiorire del “Made in Italy”, al consolidamento italiano quale potenza economica e industriale di assoluto rilievo e forse addirittura alla fine degli anni di piombo. Vedremo se questa nuova Svizzera del calcio, più sicura di sé e consapevole dei propri notevoli mezzi, riuscirà a proiettare una rinnovata immagine del nostro Paese nel contesto internazionale. Augurando nel contempo ai nostri vicini italiani che l’Italietta vista in Germania lasci presto il posto a una nuova nazionale che sappia riprendersi il ruolo preminente che le spetta di diritto per tradizione.

Rubiamo a questo proposito una dichiarazione letta in rete, che citiamo a memoria: «Dirò una cosa da vecchio, ma se i giocatori italiani avessero passato ad allenarsi metà del tempo trascorso sul lettino del tatuatore o dal parrucchiere, le cose sarebbero andate diversamente». Come ben si sa, il calcio è anche business e marketing, con l’immagine che vuole la sua bella parte. E qui gli americani sono imbattibili con la loro capacità di inventarsi modi per far soldi con svariati sport. Ma non ancora compiutamente con il calcio che, dopo i Mondiali USA del 1994 e in attesa dei prossimi Mondiali del 2026, non ha ancora fatto il salto di qualità che ci si sarebbe potuti aspettare. Soprattutto pensando al livello dello spettacolo calcistico USA che rimane di seconda, se non terza, fascia. Meglio dal loro punto di vista la penetrazione all’estero, dove acquistano a piene mani, convinti che gli europei potrebbero sfruttare molto meglio questa loro gallina dalle uova d’oro.

Rimane però un bel problema sul tavolo che è quello dell’identità sportiva, molto cara agli europei molto meno agli americani. Cerchiamo di spiegarci tornando nella nostra dimensione locale. Joe Mansueto è un uomo d’affari che con la sua Morningstar vale tra i quattro e i cinque miliardi di dollari. Da quando ha comprato il FC Lugano i risultati sportivi sono stati brillanti e tre finali consecutive di coppa, oltre alla dimensione europea che è quasi diventata un’abitudine, non accadono per caso. La dirigenza sportiva che opera al fronte è sostanzialmente svizzero tedesca e finora ha dato buona prova di sé, pensando in particolare alle sicure capacità manageriali, ma anche comunicative, dell’amministratore delegato Martin Blaser.

Ultimamente però sono successi alcuni fatti che fanno pensare, proprio a partire dallo stesso solitamente misurato Blaser, che si è lasciato andare parlando di critiche che fanno «vomitare» da parte di gente che non capirebbe un «c…o». Di questa “performance” sopra le righe si è giustamente lamentato Enrico Carpani su La Domenica di tre settimane fa. Ma forse, fatte le debite proporzioni, è un po’ come la scelta del termine “frociaggine” attribuita al papa. Diciamo che i due “amministratori delegati”, pur esprimendosi piuttosto bene in italiano, non hanno il nostro idioma quale prima lingua e quindi certi errori di registro sono sempre in agguato. Meglio comunque correre il rischio di qualche errore del genere che un presidente che si chiama Regazzoni (scelta della prima ora che rimane inspiegabile e balzana), ma non spiccica una parola di italiano e non si fa mai vedere. Così come non si è mai fatto vedere Joe Mansueto, che forse aspetterà i salottini e le lounge del nuovo “stadio-boutique” per la sua discesa in campo ticinese. A questo proposito bene hanno fatto il gruppo della Sinistra e il gruppo Verdi e Indipendenti a chiedere che «il Municipio aggiorni sul cantiere del PSE», soprattutto sull’inopinata diminuzione da 10 mila a 8 mila dei posti a sedere. Con il popolo che, accettando il sacrificio di tre punti di moltiplicatore, ha votato per uno stadio da 10 mila posti e non altro!

Per altri temi legati alla perdita di identità non c’è più spazio, ma ne trascegliamo tre in estrema sintesi: molti ritengono la nuova maglia “away” vomitevole, gli allenatori della U21 bianconera Ludovico Moresi e Dario Rota vengono improvvisamente congedati a ridosso dell’inizio del campionato, la giovane promessa luganese Nikolas Muci se ne va tristemente al Grasshoppers. Con Bottani sul viale del tramonto resterà almeno l’allenatore a cantare e a portare la croce?