Il divano orientale

Il centro del mondo

Per quale recondita ragione, c’è da domandarsi, se a motivare la politica o la Realpolitik sono gli interessi geostrategici, almeno sul piano culturale l’Occidente non si risparmia la propria «sindrome di superiorità»?
© KEYSTONE (EPA/OLIVIER MATTHYS)
Marco Alloni
Marco Alloni
02.06.2023 06:00

Uno dei peggiori difetti della globalizzazione è l’ingerenza dell’Occidente negli affari altrui. Un’ingerenza che viola la sovranità degli Stati non solo in senso bellico ma anche culturale. E che come sappiamo procede dall’idea che l’Occidente sia «il migliore dei mondi possibili» e tutti dovrebbero pertanto imitarlo. Lo abbiamo osservato a partire dall’invasione dell’Afghanistan per arrivare a quella dell’Iraq e della Libia. E poiché, a detta di molti, tra cui Sergio Romano, la NATO non sarebbe un organismo difensivo ma un vero e proprio «braccio armato» dell’Occidente, lo abbiamo osservato anche in almeno altri 50 teatri di guerra in cui, a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, la NATO è stata «cobelligerante».

A fasi alterne, certo, poiché a quanto pare, come ci ricorda Moni Ovadia, la «non-ingerenza» sulle stragi di Israele e della Turchia è stata adottata proprio come rispetto della sovranità degli Stati. Un vecchio ritornello che la propaganda atlantica ci ha fatto dimenticare come ci ha fatto scordare - secondo la ricostruzione di Alessandro Barbero - che in epoca moderna la Russia non ha mai invaso nessuno Stato estero, a parte la Francia come rappresaglia all’invasione napoleonica della Russia.

Benissimo, ma siamo sul piano della Realpolitik, che come sappiamo ha più di una motivazione per essere scagionata dai propri orrori. Ma sul piano culturale? Per quale recondita ragione, c’è da domandarsi, se a motivare la politica o la Realpolitik sono gli interessi geostrategici, almeno sul piano culturale l’Occidente non si risparmia la propria «sindrome di superiorità»? Per quale ragione, per esempio, da anni ci si fa promotori, da Occidente, delle campagne contro il velo lanciate da alcune coraggiose donne iraniane? Esiste forse un «principio di reciprocità» secondo cui le militanti iraniane pretenderebbero dall’Occidente che bandisse le minigonne o la pratica della «sessualizzazione» della donna-oggetto? O esiste forse un «principio di reciprocità» per cui, laddove noi promuoviamo campagne in difesa degli omosessuali del mondo arabo-islamico, qualche gruppo di musulmani si senta nel diritto di promuovere un’identica campagna a sostegno della loro «degradazione» in Occidente?

Viene da chiederselo non tanto perché si vorrebbe una globalizzazione meno «occidentocentrica», come la chiamerebbe Claude Lévi-Strauss, ma perché forse ha ragione Carlo Rovelli: l’Occidente non si è ancora accorto - e questa miopia potrebbe avere conseguenze politiche devastanti - che non è affatto il centro del mondo bensì «soltanto un minuscolo cerchio a margine del pianeta».

Ecco, forse sarebbe tempo che ci rassegnassimo a considerare la Storia da un punto di vista meno solipsistico e ci rendessimo conto che non solo il mondo non vuole essere come questo presunto «migliore dei mondi possibili», ma con ogni probabilità non potrà mai esserlo: sia o non sia paventabile un crollo della Russia e uno scontro senza più impacci tra le due superpotenze Stati Uniti e Cina.

Sì, forse è tempo che l’Occidente si renda conto che non è il caput mundi ma solo una sua porzione marginale. E che come recita il titolo di un libro di Federico Rampini, il prossimo potrebbe davvero essere «il secolo cinese». O chissà, magari africano o groenlandese.