Il deficit e l’ossimoro dilagante

L'EDITORIALE DI FABIO PONTIGGIA
Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
23.10.2018 06:00

di FABIO PONTIGGIA - La precisione nell'uso delle parole è espressione di chiarezza delle idee. Viceversa, l'approssimazione lessicale è il riflesso di una confusione del pensiero. A sua volta, la confusione del pensiero può essere involontaria (dovuta alle lacune di chi si esprime) o studiata (finalizzata a confondere le idee altrui, a ingannare chi ascolta). Il linguaggio politico italiano accoglie e promuove una terminologia astrusa in fatto di finanze pubbliche. È una sorta di neolingua che ribalta il significato delle parole per abbellire una realtà che bella non è. A lanciare questa moda non sono stati i populisti oggi al Governo a Roma: era stato invece l'abile affabulatore Matteo Renzi, nel periodo in cui la sua luna di miele con l'elettorato italiano non era ancora miseramente terminata. Il Governo non ha i soldi per finanziare il bonus di 80 euro o la diminuzione delle imposte? Nessun problema: li «finanzia in deficit». «Finanziare in deficit»: un autentico ossimoro, figura retorica che consiste nell'affiancare termini concettualmente contrastanti, incompatibili. Se una spesa statale causa deficit, vuol dire che non ha copertura finanziaria. Il deficit non finanzia nulla, per definizione. Deriva dal latino deficere, che vuol dire mancare. A un bilancio deficitario mancano entrate sufficienti per coprire tutte le spese. Immaginate un po' cosa accadrebbe all'amministratore delegato di un'azienda che si presentasse davanti al Consiglio di amministrazione con un bilancio nelle cifre rosse dicendo: «Nessun problema: finanziamo in deficit». Gli darebbero il benservito (magari con un bonus di uscita, naturalmente finanziato in deficit). Nella neolingua finanziaria della Penisola l'ossimoro dilaga. Il Governo gialloverde, quello del cambiamento, non solo non ha cambiato il malcostume, ma ne ha fatto una delle sue regole comportamentali. Nel segno di una granitica continuità. Lo si è constatato nei giorni dell'approvazione della manovra finanziaria, in particolare sulle proposte relative al reddito di cittadinanza, all'abolizione della legge Fornero sulle pensioni e alla cosiddetta flat tax (cosiddetta perché nei piani dei legastellati la tassa piatta, che dovrebbe avere una sola aliquota, ne ha comunque più d'una). Non ci sono i miliardi per coprire queste riforme? Nessun problema: le «finanziamo in deficit» ha esultato Luigi Di Maio celebrando l'ossimoro sul balcone di Palazzo Chigi. Un altro Luigi, Einaudi, si è rigirato dieci volte nella tomba. L'artefice della rinascita italiana, non fondata sui buchi, dopo gli orrori del Ventennio e della guerra fece mettere nella Costituzione il principio della copertura delle spese: «Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte» recitava l'articolo 81 (prima di essere modificato nel 2012 con la regola, formulata in modo un po' più keynesiano, del pareggio di bilancio). «Indicare i mezzi per farvi fronte»: chiarezza lessicale che esprime chiarezza concettuale. Non si scappa. Il deficit, cioè il vuoto, non è un mezzo, non è una risorsa e quindi non copre (e non finanzia) nulla. E non saranno né la debordante e martellante parlantina fiorentina del Bomba né tantomeno il «bel visino televisivo» (Berlusconi - che di tv se ne intende - dixit) di Giggino Di Maio a modificare le cose e a colmare quella mancanza. Che rimane, a dispetto dell'ingannevole e dilagante ossimoro. Non è evidentemente una mera questione lessicale. Il rigore e la disciplina nei conti sono la premessa indispensabile di qualsiasi politica pubblica costruita su solide fondamenta, perché sui deficit e sui debiti non si costruisce nulla (Einaudi). Sono davvero pochi i governi virtuosi oggi in Europa, quelli che nelle fasi di crescita dell'economia non solo rispettano il criterio - di per sé molto largheggiante - di Maastricht (deficit non superiore al 3% del PIL), ma chiudono i conti con avanzi d'esercizio e quindi riducono il debito (in cifre assolute). Guarda caso sono i governi dei Paesi economicamente più solidi. E questo non è un ossimoro.

In questo articolo: