L'editoriale

Il Pardo non balzerà fuori dal Ticino

Un vero coup de théâtre: con queste parole abbiamo salutato, due settimane fa, la nomina di Maja Hoffmann a presidente designata del Locarno Film Festival — In realtà – accettiamo scommesse – sarà una presidenza ben più che sorprendente
Paride Pelli
09.08.2023 06:00

Un vero coup de théâtre: con queste parole abbiamo salutato, due settimane fa, la nomina di Maja Hoffmann a presidente designata del Locarno Film Festival. In realtà – accettiamo scommesse – sarà una presidenza ben più che sorprendente. L’impressionante rete di relazioni internazionali della Hoffmann non potrà non farsi sentire in tutto il suo peso e in tutta la sua influenza. Fra cinque o dieci anni il Festival sarà qualcosa di diverso da come lo conosciamo oggi, al netto dei contenuti artistici che verranno presentati. E non perché Maja Hoffmann debba per forza «dimostrare qualcosa» - ci mancherebbe - ma semplicemente perché il naturale percorso di un Festival di successo è quello di espandersi, di diventare possibilmente ancora più amato e frequentato. Aver scelto «la migliore figura possibile in questo senso» (Marco Solari dixit, anche su queste colonne), non potrà che sottolineare e rafforzare questo ambizioso e inesorabile obiettivo.

Dal prossimo 20 settembre, data in cui la nomina sarà formalmente approvata dall’assemblea generale straordinaria, la mecenate basilese lavorerà quindi sulla struttura e sul processo della manifestazione con lo scopo di portare il Festival in una dimensione da tutti i punti di vista «maggiore». Un cambio di paradigma dettato anche da una presidente beninteso poco «operativa» rispetto al suo generoso (e inimitabile) predecessore, ma con diversi collaboratori di fiducia e colleghi del Consiglio d’amministrazione che avranno il compito da un lato di mettere in pratica (e su schermo) le sue strategie e dall’altro di mantenere i rapporti con il territorio, cioè con i partner e le istituzioni, che rimangono fondamentali in un’ottica di stabilità e di identità.

Ma di una cosa siamo e rimarremo sicuri: il Festival non è una sola persona, non lo potrà mai essere. Il Festival è Piazza Grande, è Locarno, è il Ticino. Anche in un’epoca straordinariamente digitalizzata come la nostra, con la possibilità di seguire in diretta da ogni latitudine le proiezioni dei film – come ha dimostrato l’edizione ridotta del Festival del 2020, svoltasi quasi «in virtuale» sotto il giogo della pandemia – non esiste una manifestazione del cinema sconnessa dalla sua realtà. Per quanto «cittadina del mondo», Maja Hoffmann non potrà sottrarsi a questa semplice regola: un festival, fin dal nome, è anche e soprattutto la città dove ha luogo. I timori, già espressi da qualcuno, relativi a una poderosa globalizzazione della rassegna di Locarno, talmente poderosa da sganciarla dal suo territorio, sono infondati. La manifestazione si è sempre nutrita di Locarno e di Ticino, e viceversa, e Maja Hoffmann lo sa bene.

Certo, le ricadute positive sul nostro cantone saranno ragguardevoli e impegnative, e questo fa un po’ paura. La paura, forse, di non essere del tutto pronti: con le infrastrutture (l’aeroporto di Agno è purtroppo stato prematuramente ridimensionato), con gli alberghi, con i servizi. A questo c’è però un rimedio: prepararsi per tempo. Con la consapevolezza, naturalmente, che il Festival potrà essere sì un eccezionale volano, un grande motivatore per creare nuove imprese e nuovi investimenti (lo sta d’altronde già facendo), ma non sarà certo il deus ex machina dell’economia turistica e culturale del cantone. Lo ha sottolineato pure Alain Berset, in una intervista concessa al nostro Corriere del Ticino: il Festival è (anche) fragile, ha detto l’attuale presidente della Confederazione, è un diamante non più grezzo, ma finito, che soffrirà inevitabilmente della concorrenza di altre manifestazioni e che dovrà rimanere al passo con i tempi. Il lavoro da fare, considerando il periodo storico, è di quelli erculei, ça va sans dire. Ci permettiamo quindi di affermare che con Maja Hoffmann la strada sarà in discesa e in salita allo stesso tempo. Ci saranno poi sfide anche politiche: l’altro ieri, due attivisti di Renovate Switzerland hanno interrotto la cerimonia di premiazione sul palco di Piazza Grande per protestare contro la mancanza di «azioni immediate» contro la crisi climatica. Ecco, sarà interessante osservare, per esempio, come il Festival assorbirà nei prossimi anni queste sollecitazioni, senza perdere serietà e autorevolezza e mantenendo una sua indipendenza e libertà. In tutto questo, una cosa è certa: il Pardo non balzerà fuori dal Ticino, nelle astratte piazze del cinema «globalizzato», mordi e fuggi, tutto (e solo) effetti speciali, ma sarà piuttosto il mondo che verrà qui ad ammirarlo nella sua bellezza. E in quella del nostro cantone.

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