Il rispetto è un bene collettivo

I fatti personali spesso aiutano a prendere la misura di fenomeni che hanno anche una dimensione collettiva, che sono «politici» nel senso di interessare tutti noi. A me è successo con una dolorosa vicenda di cui ho già parlato e che, prossimamente, approderà in aula penale. Al di là del caso che mi riguarda direttamente, il tema è quello della vulnerabilità di ognuno in un mondo digitale dove, in un certo senso, tutti sono sempre alla portata di tutti. Sotto osservazione ma anche sotto tiro, sempre raggiungibili ma anche sempre bersagliabili. Nel bene, pensiamo solo agli enormi vantaggi in termini di comunicazione o di informazione, ma anche nel male, ad esempio quando qualcuno è preso di mira da un soggetto o da un gruppo. È la grande questione della difesa dell’onore, della dignità e della libertà delle persone (quella di essere rispettati) in una realtà dove le reti sociali sono ormai onnipresenti e l’aggressività sociale cresce. Ne sanno qualcosa, ad esempio, quei ragazzi e quegli adolescenti che si ritrovano bullizzati o emarginati via social media, con risultati spesso tragici e conseguenze a volte enormi per loro, le loro famiglie e la società intera. Quanto soffre una giovane vita che inizia male per effetto del fenomeno di cui sto parlando, magari con conseguenze sul percorso di maturazione, apprendimento o inserimento professionale? Quanto costa, spesso, alla collettività? Purtroppo, la consapevolezza della gravità della situazione è ancora insufficiente, cresce ma non come dovrebbe. Le cattiverie via social? Basta non prendersela, rispondere per le rime o mostrarsi meno. La diffamazione? In fondo passa, basta non badarci o non offendersi, sono solo parole e poi c’è di mezzo la sacrosanta libertà di espressione. Il sessismo sui social? Preoccupazioni moralistiche! Lo stalking? Quanti anni di parole per arrivare finalmente a una norma penale, importante ma che, da sola, non basterà di certo. Quello che urge è una doppia consapevolezza. Di ognuno di noi, nel senso di non favorire o tollerare (o addirittura sorridere quando è toccato qualcuno che non ci piace) ma reagire, se del caso senza esitare a chiedere alla giustizia di fare la sua parte. Girarsi dall’altra parte o subire non è mai la soluzione ma sempre solo un pezzo del problema. Non meno importante, anzi e lo dico da persona attiva in ambito pubblico, è che i vari settori dello Stato (scuola, amministrazione, polizia, giustizia) siano al tempo stesso attivi, attenti, preparati, celeri nell’intervenire. E, ovviamente, che la politica li sostenga attivamente, anche con i mezzi necessari. In un recente clamoroso processo francese per un orribile caso di violenze sessuali, la vittima ha detto che «la vergogna ha cambiato posto». Devono, anche da noi, cambiare posto la paura, la tristezza e il senso di impotenza. In una vera società liberale, ognuno è libero ma nessuno è solo.