La pace è delle donne israeliane e musulmane

Più di cento delegate da tutto il mondo, musulmane con il velo, indiane nei loro sari colorati, economiste, scienziate, astrofisiche, CEO di aziende spaziali e tecnologiche, esperte di nuove tecnologie di produzione del cibo, dagli Stati Uniti, dall’Europa, dall’Asia, dal Medio Oriente, dall’Africa, dalla Svizzera, si sono riunite a Roma, nella splendida cornice dalla sala Dome all’Università Luiss, per il primo incontro del Women Economic Forum (WEF), una iniziativa volta a valorizzare l’eccellenza femminile nel mondo.
Organizzato da tre donne straordinarie: l’indiana Harbeen Arora Rai, fondatrice del WEF e anche del G100, una lega internazionale di donne eccellenti, Marilena Citelli Francese, presidente di MusaDoc, associazione no profit dedicata alla cultura, che promuove di eventi istituzionali di grande respiro e Paola Severino, ex ministro di Giustizia, Rettore della Luiss, penalista di fama internazionale e nota in tutto il mondo per la legge anticorruzione che porta il suo nome, sulla prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione (una legge che ha fatto storia in Italia).
Confesso che quando sono stata invitata a partecipare all’evento ero piuttosto scettica. Temevo una passerella di donne di potere o viceversa una litania di lamentele sulla discriminazione nei confronti dell’altra metà del cielo, discriminazione che esiste e va risolta, ma che dice ben poco di nuovo a chi da anni si occupa di questi temi.
E invece il Forum è stato una esperienza emozionante. Per la qualità e la grinta delle relatrici, giovani e meno giovani, che hanno tenuto le loro conferenze in un inglese perfetto. Per l’interesse degli argomenti, tutti centrati sull’innovazione, nel campo della salute, dell’agricoltura, del clima, della conquista dello spazio, della cybersecurity e dell’intelligenza artificiale. CEO di aziende importanti, docenti in università prestigiose, funzionarie di altissimo livello nelle istituzioni europee - ma tutte contraddistinte da un senso di umanità, dalla voglia di fare rete e di collaborare, da una empatia che nel mondo maschile raramente ho riscontrato. Rispetto alle tante conferenze in cui gli uomini sono predominanti, e in cui domina il business, qui c’erano sorrisi, allegria, colori, inclusività e voglia di comunicare e stringere rapporti umani, non solo stabilire una rete di contatti utili alla carriera.
Ne sono uscita con la sensazione che il pianeta sarebbe davvero migliore se nelle stanze del potere ci fossero queste donne, e quanto il mondo perde dalla mancanza di una leadership femminile libera di esprimersi - troppo spesso la leadership femminile è vincolata dal rispetto delle regole stabilite dagli uomini.
Mi ha particolarmente colpita il saluto di apertura di Harbeen Arora Rai, visionaria fondatrice del WEF. Non ha parlato di rivendicazioni, ha parlato di amore, di pace, di collaborazione alla pari tra uomini e donne, della necessità dell’empatia, dell’intelligenza emotiva e dell’intuizione femminili per salvare il pianeta e l’umanità. Mi ha ricordato Gandhi, o Martin Luther King. Ma le sue non sono parole di facile retorica. E lo testimonia la coppia più straordinaria di donne presenti al Forum, Rehab («grande cuore» in arabo) Abd Alhalim, musulmana praticante, araba israeliana, e Marianne Steinmetz, israeliana ebrea. Sono grandi amiche, arrivate insieme perché Rehab, delegata del WEF, ha sentito la necessità di farsi accompagnare da una donna ebrea: «Entrambe rappresentiamo il Paese». Rehab ha fondato una scuola di eccellenza, in un piccolo paese beduino vicino a Nazareth, una scuola inclusiva anche per ragazzi con problemi, dove gli insegnanti sono musulmani, cristiani ebrei e l’approccio alla diversità è visionario. La scuola precedente era una baracca con tetto di latta all’interno del cimitero. Ora è un modello di eccellenza, visitata da delegazioni da tutto il mondo. Marianne è una insegnante di inglese che vive in una comunità rurale al Nord di Israele, non lontana da Nazareth.
In un momento così difficile, la loro solidarietà, la loro amicizia, la consapevolezza che ebrei e musulmani devono saper convivere con amore e in armonia, fa pensare che se le trattative fossero affidate alle donne, forse si riuscirebbe a concludere un accordo di pace.