Quando ti senti come Fantozzi a cena dalla contessa
Caro Carlo, mi è capitata una di quelle situazioni per cui credo sia opportuno spendere una riflessione. Ospite ad una cena di gala in cui, oltre al sottoscritto, presenziavano persone con ruoli dirigenziali importanti all’interno delle rispettive aziende, dopo i convenevoli saluti formali, l’organizzatore ha proposto di togliersi i panni professionali e gustare una cena in termini informali. Piccole modifiche al linguaggio da un formale Lei ad un amichevole tu, lo sfilare una cravatta e la possibilità di mangiare una coscia di pollo senza l’utilizzo delle posate. Risultato? Una meraviglia, si è gioito del momento e mai un piatto è rientrato in cucina con qualche rimanenza. Il perché di questo ultimo fattore è sicuramente riconducibile all’ottimo cibo, ma anche alla capacità dei commensali di riferire al dirimpettaio un semplice «Lo desideri tu che io non lo posso mangiare?». I prodotti di Bacco hanno facilitato l’esperimento e stando ai sorrisi non si è potuto che confermare la teoria del norvegese Finn Skårderud che dichiara una carenza di alcol che l’uomo si porta dietro dalla nascita e che dovrebbe sempre compensare bevendo. Bacco o Skårderud, credo proprio che siano state le persone a far la differenza. Per una volta a fare la differenza non è stato l’abito, bensì la lungimiranza di chi ha proposto una serata informale, rilassata tra grandi abiti e teste soprattutto.
Rocco Angelucci, Pregassona
La risposta
Caro Rocco Angelucci, ignorando l’esiziale contributo alla civiltà di Finn Skårderud, sono andato a documentarmi in rete, come un vecchio nerd. A quanto pare, il saggio pensatore scandinavo ritiene che con lo 0,05% di alcol nel sangue – attenzione: costante per tutta la durata del giorno e tutti i giorni – si viva meglio. Questa leggera dose, mantenuta grazie a un’assunzione costante, consentirebbe di dare il meglio di sé in termini di relazioni sociali, capacità creative e performance cognitive. L’idea mi piace un sacco. Peccato che difetti di serie conferme scientifiche. E poi, ragionando, ci arrivo pure io a dire che un sorso di rosso ogni tanto ti scioglie senza stordirti, anche se dipende dal tipo di nettare che ingurgiti. Con certi vinacci mezzo bicchiere basta e avanza per il cerchio alla testa: altro che performance cognitive! Ne deduco che nella sera di gala di cui è stato ospite, il rosso e il bianco erano d’alto livello. Altrimenti sarebbe finita in rissa. Scherzi a parte, condivido senza riserve la preferenza per l’approccio informale anche in un’occasione di prestigio. Gente come me che si sente ingessata quando deve mettere la cravatta, apprezza tutti gli stratagemmi che consentono di abbattere le invisibili barriere del disagio e delle distanze di clan. Perché non c’è nulla di più imbarazzante al mondo che trovarsi ospiti di una festa nella quale finisci col sentirti un estraneo, come Fantozzi che mangia pomodorini ustionanti alla cena della contessa Serbelloni Mazzanti. Sia chiaro: la liturgia un po’ formale degli eventi d’élite è fascinosa e può valorizzare una serata. Ma il vero stile consiste nel far sentire a suo agio l’ospite, non nell’inibirlo.