L’allocco in agguato
«Essere Norman Gobbi non credo sia facile». Aveva visto lungo la deputata socialista Daria Lepori quando, durante il dibattito parlamentare del mese scorso sul preventivo cantonale, parlando del consigliere di Stato aveva ironicamente tirato in ballo il film Essere John Malkovich. Asia pensava di andare a farsi leggere la mano dalla maga Lepori. Infatti, durante l’ultima settimana v’è stata la conferma che è molto difficile essere Norman Gobbi sia come direttore del Dipartimento delle istituzioni sia come coordinatore ad interim della Lega (ma con anche appartenenza democentrista, così, comunque vada la contesa per la sindacatura di Lugano, in qualche modo vincerà, anzi, la fantapolitica sta già sistemando i pezzi del puzzle nello scenario con Chiesa sindaco in riva al Ceresio: Gobbi agli Stati a Berna al posto di Chiesa, Marchesi in Consiglio di Stato al posto di Gobbi, e tanti saluti al Nano). La faccenda dell’incidente stradale tirata fuori dal presidente del Centro Fiorenzo Dadò potrebbe essere un petardo bagnato oppure rivelarsi una brutta grana per SuperNorman qualora non chiarisse alcuni aspetti. Si sa che il diavolo sta nei dettagli. La mia amica microinfluencer del lago e content creator è arrivata alla conclusione che contro il «ministro» della giustizia deve avere infierito l’allocco incontinente, perché di questi tempi gliene sono successe troppe, mica solo per colpa sua. La nomina dei magistrati in Parlamento è stato uno spettacolo inverecondo, di totale discredito della classe politica e, loro malgrado, delle stesse persone nominate messe a mollo nel brodo dello sputtanamento indipendentemente dalle loro capacità; l’avanspettacolo offerto da nani e ballerine del gruppo della Lega «poltronesofà» ha fatto per un attimo credere che fosse tornata la strepitosa Palmita della vecchia TSI. Nei vari moli del golfo dove ci siamo fermati con il battellino per scambiare il Barbera fatto col mulo con i tortelli di San Giuseppe di cui Asia va matta, qualcuno ci ha detto che c’è poco da scandalizzarsi per la spartizione del potere giudiziario perché al «tavolo di sasso» è sempre avvenuta e lo sanno bene anche alcuni che oggi si ergono a moralisti. È vero e non c’è nulla di male nel garantire anche nella giustizia la presenza delle diverse sensibilità che vi sono nella società. Il problema è come lo si fa, lo stile. Forse un tempo sapevano perlomeno stare composti alla tavola della spartizione, mentre i nuovi commensali mangiano con le mani, si ciucciano le dita e alla fine ruttano pure. Di fronte a una classe politica che nel suo complesso ha perso ogni credibilità, benché abbia occupato bene il potere, la grande discussione sui sistemi di nomina dei magistrati dell’ordine giudiziario rischia di diventare un alibi per non darsi da soli la patente di incapaci. Poi c’è l’avanspettacolo, che ricorda la vicenda dei «mori» delle Processioni di Mendrisio prima pittati, poi spittati e infine ripittati in attesa della colorazione definitiva. Il «moro» qui è Bobo Bignasca che annuncia le dimissioni da capogruppo leghista, che poi ritira parzialmente (secondo il coordinatore Gobbi) quando si dimette la vicecapogruppo per un conflitto di interessi rispetto a un candidato alla magistratura, e che infine congela (sempre secondo Gobbi) in attesa di chiarimenti sulla pittata definitiva. Al Paese non frega nulla, però, aspettando il gran finale, con la perfidia della nemesi storica Asia lancia un concorso strepitoso: «Pitta lo scarrafone».