L’eterna colpa di essere giovani

Chiusi a riccio sullo schermo dei telefonini. Incapaci di vivere offline. Dediti al rimbambimento collettivo da social. Nerd menefreghisti rispetto ai destini del prossimo. La modestissima considerazione nei confronti delle giovani generazioni è così diffusa che quando una voce autorevole interviene a sottolinearne i pregi, in senso contrario al comune sentire, bisognerebbe stappare una bottiglia di champagne. Brindiamo, quindi, alle parole positive del celebre psicanalista Luigi Zoja secondo il quale i ragazzi di oggi sono molto più in gamba di quanto si tende a credere.
Una bella sorpresa se si spensa che le lamentatio degli umani adulti sui rappresentanti della loro stessa specie “colpevoli di gioventù” esistono da sempre. «Non nutro più alcuna speranza per il futuro del nostro popolo, se deve dipendere dalla gioventù superficiale d’oggi, perché questa gioventù è senza dubbio insopportabile, irriguardosa e saputa”, scriveva nel 700 a.C. il greco Esiodo nel poema in esametri Le opere e i giorni. “Quando ero ancora giovane - osservava indignato - mi sono state insegnate le buone maniere ed il rispetto per i genitori: la gioventù d’oggi invece vuole sempre dire la sua ed è sfacciata».
Dall’uomo delle caverne (magari già dal primate che ha preceduto il Sapiens) in avanti, ogni generazione precipita ciclicamente in questo gorgo di borbottii infastiditi. Sembra quasi una legge di natura che sancisce la tendenza degli ex giovani a dimenticare come erano quando avevano l’età di chi giudicano così severamente. Scordando che, qualche decennio prima, identiche accuse venivano loro rivolte dai genitori, stufi di vederli davanti allo schermo della tv, corruttrice dei buoni costumi e ispiratrice di modelli comportamentali viziosi. E prima ancora della radio, della luce elettrica nelle case che ti teneva sveglio fino a tardi, dei libri che ti confondevano le idee, e via retrocedendo lungo la linea del tempo alla ricerca dell’ultima “diavoleria” pervertitrice dei “veri valori”. I padri degli anni Sessanta imprecavano per i figli hippies sempre via di casa; quelli di oggi per i ragazzi serrati in cameretta coi videogiochi. Morale: ogni generazione viene considerata peggiore di quella che l’ha preceduta.
Tutto questo ci racconta, tra l’altro, l’alta propensione dell’umanità alla paura dei cambiamenti (vade retro novità!) e al moralismo automatico e semplificatorio (zero sfumature e zero apertura mentale). Senza contare che il ragionamento potrebbe essere tranquillamente rovesciato. Perché, a ben guardare, sono gli adulti a consegnare di generazione in generazione ai loro discendenti un mondo sempre più malmesso. Basti pensare allo scempio delle risorse planetarie che costringe le agende politiche mondiali a imbarazzanti recuperi green probabilmente già tardivi. In una sorta di giudizio universale anticipato, quindi, è più onesto pensare che - tra giovani e vecchi - sul banco degli imputati finirebbero i secondi e non i primi.
Al di là dei disciplinati cortei sul clima, i nipotini delle defunte ideologie del Novecento, non sembrano avere alcuna velleità utopica? Può darsi. Ma molti di loro hanno fatto propri comportamenti virtuosi, come la raccolta differenziata dei rifiuti o il rispetto per i diversi orientamenti sessuali delle persone, che - senza far chiasso - potrebbero migliorare il pianeta molto più di quanto non abbiano fatto le rivoluzioni di piazza dei padri e dei nonni alla loro stessa età. Piano, quindi, con la tiritera della “gioventù bruciata” che non rappresenta la maggioranza degli esponenti delle nuove generazioni. Forse i piagnistei sui giovani denunciano soprattutto i primi segni della senilità di chi li fa.