Liceo: se la scorciatoia fa perdere la meta
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Il nuovo Piano quadro degli studi per le scuole di maturità liceale, non ancora tradotto in italiano, è formalmente entrato in vigore da agosto e vale in tutti i Cantoni. Per l’insegnamento della storia il documento indica “tre ambiti di formazione” che devono essere messi in relazione tra loro: il primo è quello metodologico, il secondo si intitola continuità e rotture nella storia, il terzo educazione alla cittadinanza. Senza particolari giri di parole si invita il docente a “vigilare sulla coerenza tra questi tre campi e sulla loro relazione badando a concretizzarle attraverso l’insegnamento di avvenimenti e processi storici appropriati”, da cui deriva che la scelta degli argomenti da trattare in aula si deve collocare all’intersezione dei tre ambiti.
La dimensione continuità e rotture nella storia, che dovrebbe delimitare i contenuti prettamente storici da insegnare, è a sua volta suddivisa in 8 settori. Il primo è libertà e uguaglianza e indica l’obiettivo per gli allievi di “valutare le dimensioni della libertà e dell’uguaglianza nel mondo contemporaneo studiando la storia delle comunità, dei movimenti, degli individui analizzandone le pratiche di inclusione, di esclusione, di privazione dei diritti, di resistenza e di emancipazione”. Non occorre essere laurato in storia per capire che applicare espressioni come “privazione dei diritti” a un passato nel quale alcuni o tutti i diritti non erano neppure concettualizzati o riconosciuti costituisce un evidente anacronismo e che difficilmente si può rimediare a questo errore storiografico rintracciando “avvenimenti e processi storici appropriati”. Il secondo ambito tematico è definito democrazia e prescrive di “comprendere i fondamenti delle società democratiche esaminando le forme e le esperienze di democrazie realizzate pienamente, parzialmente o non riuscite nella storia contemporanea”. Il terzo è sfide per le società democratiche e “comprende le sfide che rappresentano le ideologie e le pratiche non democratiche per le società democratiche studiando le forme e le esperienze che si sono rivelate essere correnti, discorsi o pratiche autoritarie o totalitarie nella storia dell’epoca contemporanea”. Poi segue il campo relazioni e conflitti, avente l’obiettivo di “spiegare la storia dell’ordine internazionale contemporaneo studiando le forme di rapporti che si sono intessuti dai tempi moderni”. Inoltre c’è economia che intende “descrivere le economie contemporanee mostrando differenti forme di produzione, di consumo e di distribuzione nel passato e spiegando le evoluzioni nella storia dell’industrializzazione dai tempi moderni”. Gli ultimi tre campi sono: natura e cultura, che mira a “analizzare il presente dell’Antropocene studiando la relazione tra natura e cultura durante un’epoca [a libera scelta n.d.r] e riflettendo sul ruolo dell’uso dell’energia, della tecnologia e dello spazio fatti dagli umani nell’epoca contemporanea”; poi c’è ruolo delle scienze con lo scopo di “comprendere l’importanza delle scienze per il presente descrivendo la funzione e gli effetti delle differenti rappresentazioni del mondo nella storia e spiegando come le scienze sono emerse e si sono sviluppate nei tempi moderni”; per concludere con media, con lo scopo di “valutare l’importanza dell’informazione, dello spazio pubblico e del digitale nel presente mostrando l’evoluzione dei media nella storia”.
Sembrerebbe che la disciplina scolastica della storia, per sopravvivere, debba ora servire principalmente a legittimare un determinato sistema politico, sociale e economico. Il filtro applicatole seleziona indirettamente per decreto che cosa insegnare e perché insegnarlo, delimitando la sagoma attraverso cui guardare al passato e stabilendo la chiave interpretativa. Il baricentro si è spostato, da disciplina votata all’atto conoscitivo di incontrare l’alterità, l’ignoto e di accrescere così la conoscenza del mondo, della realtà e pure di se stessi, la storia pare trasmutata dall’imperativo politico (di governance, non di principi condivisi) di formare un tipo di cittadino che guardi al passato per trarvi la lezione morale predeterminata e la convinzione di vivere nel migliore dei mondi possibili, in un presente del quale occorre risalire alle origini (molto prossime) scoprendone lungo la strada eventuali alternative fallimentari e deficitarie, in una prospettiva evoluzionistica. Il presente trattato non è però quello della tradizione storiografica, ovvero quel momento in cui nascono le domande del ricercatore di storia a partire dalle contingenze e dell’attualità vissuta, ma è un presente autoreferenziale che si serve strumentalmente del passato, di cui sostanzialmente non si interessa se non per ottenerne forza e legittimazione.
A questo punto è legittimo chiedersi se in futuro sarà ancora possibile per un docente insegnare la nascita del calvinismo o altri argomenti che non dovessero rientrare in uno degli 8 campi discriminanti, specialmente tenuto conto del doppio scoglio da superare, dal momento che, se anche fosse il caso, resterebbe ancora da dimostrare che il tema desiderato sia al contempo inerente anche alla dimensione dell’educazione alla cittadinanza.
Tanta disinvoltura verso le esigenze epistemologiche e storiografico-scientifiche è bilanciata tuttavia da una puntigliosa attenzione sia per le cosiddette competenze trasversali, che incorniciano e attraversano tutte le discipline, sia per gli obiettivi interdisciplinari come lo sviluppo sostenibile. Chiunque avesse il coraggio di studiare il modello di competenze trasversali comprendente campi quali autoriflessione (dal significato discutibile), autocompetenza (pure problematica), autoefficacia (idem), motivazione alla prestazione (chissà a quale prestazione si riferisce e stabilita come e da chi), empatia,… noterebbe che il Piano impone schemi aprioristici che strutturano l’interiorità dell’allievo investendone il pensiero, le motivazioni, l’affettività e il comportamento tramite attività scolastiche che si servono accessoriamente delle materie per raggiungere il proprio fine, che sembra prioritario.
Per ovviare al rischio che le persone del futuro non condividano l’orientamento attuale e non lo conservino secondo i nostri dettami, si ricorre ad un design delle personalità inscritto nella struttura delle competenze, che indicano gli assi, i profili lungo i quali devono necessariamente svilupparsi i giovani agendo per automatismi interiorizzati e predefiniti compatibilmente con il linguaggio cibernetico e con gli algoritmi digitali disegnati da certi adulti.
La filosofa Hannah Arendt in L’origine del totalitarismo ci ricorda che “l’educazione totalitaria non ha mai avuto lo scopo di inculcare convinzioni, bensì quello di distruggere la capacità di formarne” agendo attraverso “processi mentali” che “sostituiscono il pensiero” “staccando dall’esperienza e dalla realtà”, conducendo le persone ad una “coercizione interiore”, “senza dialogo con se stesse” e senza interiorità. Secondo lei “la spontaneità, con la sua incalcolabilità, è il massimo ostacolo al dominio totale sull’uomo”, il quale “mira a organizzare gli uomini nella loro infinita pluralità e diversità come se tutti insieme costituissero un unico individuo”, ed “è possibile soltanto se ogni persona viene ridotta a un immutabile identità di reazioni, in modo che ciascuno di questi fasci di reazioni possa essere scambiato con qualsiasi altro”.
L’auspicio quindi è che il nuovo Piano degli studi, nel tentativo di garantire il raggiungimento dell’obiettivo di una certa idea di persona (cittadino-lavoratore-consumatore) attraverso efficaci scorciatoie tecniche neuroscientifiche, non perda di vista la meta, questa sì sancita da leggi e dalla Costituzione, di educare e crescere persone libere, consapevoli, responsabili e con una solida cultura generale, anche se ciò comporta la rischiosa ma somma tutela dell’imprevedibilità e dell’incontrollabilità della natura umana. In un’autentica difesa dei valori liberal-democratici il fine non giustifica mai tutti i mezzi, il prezzo sarebbe perdere per strada l’umanità.