Lo spettro di una Jihad globale è tornato
Quello che si temeva è avvenuto. Il conflitto tra Israele e Hamas si sta allargando con esiti imprevedibili. Quattro missioni di un volenteroso Tony Blinken, il segretario di Stato americano, non sono bastate. Le ragioni, anche e soprattutto umanitarie, non prevalgono su interessi e odi. Ed è drammaticamente curioso che il salto di gravità della crisi mediorientale coincida con l’inevitabile risposta militare della coalizione a guida angloamericana, in conformità con il diritto internazionale, ai continui attacchi dei guerriglieri Houthi al traffico commerciale. Il tutto mentre Israele è sotto accusa alla Corte dell’Aja per genocidio in un processo che sembra incredibilmente derubricare il pogrom del 7 ottobre. Hamas, alleato degli Hezbollah e degli Houthi, vuole cancellare Israele dalla carta geografica. E molti Paesi sembrano esserselo dimenticato.
Questo nuovo asse del terrore è stato purtroppo rafforzato dall’ampiezza e dalla risolutezza della reazione militare del governo Netanyahu che ha causato migliaia di morti civili nella striscia di Gaza. Gli Houthi, ovvero i «partigiani di Allah», una variante sciita, sono stati sostenuti da Teheran nella loro lotta vincente al governo di Sana’a appoggiato dall’Arabia Saudita. Una decennale «guerra fredda», o per procura, tra le due potenze regionali che faticosamente negli ultimi tempi, si erano ravvicinate. L’attacco di Hamas ha interrotto, o quantomeno rallentato, anche il negoziato silenzioso tra Ryad e i ribelli yemeniti. Si ricorderà che nel 2022 avevano attaccato un impianto Aramco nei giorni del gran premio di Formula Uno. L’Arabia Saudita, impegnata in un ambizioso programma di modernizzazione, anche in concorrenza con gli Emirati, non può sopportare una minaccia così insidiosa ai suoi confini. I guerriglieri yemeniti hanno dimostrato nelle azioni terroristiche di questo periodo di disporre di armi sofisticate. In quantità. E in misura maggiore della coalizione occidentale che cerca di fermarli. Due anni di aiuti all’Ucraina, che peraltro gli Stati Uniti dichiarano almeno momentaneamente sospesi, hanno svuotato gli arsenali delle potenze democratiche. Siamo a corto di munizioni. Un ulteriore paradosso. E intanto Donald Trump, favorito alle presidenziali di novembre, attacca Joe Biden, dissociandosi dall’operazione contro gli Houthi.
Il conflitto minaccia direttamente le forniture delle principali economie occidentali e in particolare l’Europa. Gli Houthi, come moderni briganti in agguato, hanno già costretto le grandi società di trasporto, da Cosco a Maesrk a Msc, a evitare il Mar Rosso e Suez. Rotta dalla quale passa normalmente il 30 percento del commercio mondiale. Con l’effetto di triplicare, come minimo, noli e premi assicurativi. Due settimane in più di navigazione per raggiungere i porti europei. Un impatto sui prezzi è scontato. Mentre il mondo è concentrato sui pericoli del metaverso e dell’intelligenza artificiale, si scopre che l’economia è ancora maledettamente materiale e dipende dal trasporto marittimo, già condizionato dalla bassa funzionalità di Panama. E come nei secoli scorsi, le grandi potenze - e non è un caso che Londra sia stata la più determinata - impiegano navi e aerei per difendere la libertà di commercio. Affrontando una minaccia - ulteriore drammatico paradosso di questa emergenza - che arriva dal Paese più povero del mondo, lo Yemen, a lungo ritenuto a torto l’epicentro di una crisi locale, fra sunniti e sciiti, tutta interna al mondo islamico. Lo spettro di una Jihad globale torna prepotentemente d’attualità.