mRNA, la speranza oltre le divisioni

Katalin Karikó era ossessionata dagli studi sull’mRNA. Più rifiuti e ultimatum accumulava, e più lei insisteva. Erano gli anni Novanta. All’epoca lavorava per l’Università della Pennsylvania. I vertici dell’ateneo la misero di fronte a una scelta: se vuoi continuare le tue ricerche sull’mRNA, devi lasciare la posizione di docente. In quegli stessi giorni le venne diagnosticato un cancro. Decise di proseguire allora con ancora più intensità. Perché l’unico modo di liberarsi di quella ossessione era andare fino in fondo a essa. Il resto è storia recente: il COVID, il vaccino, per lei - passata da Moderna a BioNTech - la notorietà, chissà un giorno un Nobel.
Oggi si fa un gran parlare dell’RNA modificato come potenziale soluzione proprio al cancro. Più che potenziale, promessa. E sembra che questa soluzione sia frutto di un passato recente, della pandemia soltanto, ma la storia di Katalin Karikó ci ricorda che in realtà arriva da più lontano. Certo, la pandemia ha contribuito ad accelerare le ricerche, a estenderle, a renderle qualcosa di più che non una speranza astratta. La tecnologia a mRNA ha contribuito a spingere il mondo oltre le fasi più drammatiche dell’invasione del coronavirus, ma nonostante ciò si è scoperta, suo malgrado, all’origine pure di una profonda divisione della nostra società.
Una divisione che si è fatta via via più profonda. Pro e contro i vaccini. I toni si sono incattiviti. E poi è arrivata la guerra contro l’Ucraina. E i toni si sono ulteriormente inaspriti, giocando attorno a quello stesso solco generato dalle discussioni attorno alla pandemia e ai rimedi a essa. Non è un caso che, ancora oggi, di fronte al reboante annuncio di Moderna relativo a un potenziale vaccino contro il cancro, ma anche contro gli infarti e contro «tutte le malattie» - per citare il direttore sanitario dell’azienda farmaceutica americana, Paul Burton, intervistato dal Guardian -, entro il 2030, le discussioni sull’mRNA sui social proseguano, mantenendosi aggressive.
C’è chi parla di una speculazione, di un modo, per Moderna, di rilanciarsi economicamente. C’è pure, però, chi - ed è la maggioranza - grida alla rivoluzione terapeutica. C’è, in questa maggioranza, chi ne approfitta per rinfacciare il tutto ai no-vax. Della serie: e adesso, se vi beccate un cancro, che cosa farete? Provocazioni che non aiutano, figlie dei tempi che stiamo percorrendo, deleterie se proviamo a immaginarci le reazioni alla medicina del futuro, la quale si muove proprio in questa direzione. Lo diceva la stessa Karikó nell’intervista rilasciata al CdT due anni fa - a pochi giorni dall’arrivo dei vaccini contro il COVID in Ticino -, quando suggeriva: «La scienza fa passi da gigante, ma di pari passo andrebbe nutrita la conoscenza della popolazione». La popolazione non va abbandonata e non va neppure sminuita nei suoi dubbi, nei suoi timori, nelle sue varie - non sempre solide - convinzioni. La lezione dovrebbe esserci chiara. Eppure molti aspetti sono stati dimenticati. E altri continuano a essere utilizzati a piacimento come spunti di scontro. Per buona pace della conoscenza e, di conseguenza, della salute pubblica.
L’annuncio di Moderna - per quanto giocato su toni eccessivi -, in tutti i casi, non nasce da un’utopia di Burton. Gli studi sui melanomi - ma anche sul virus respiratorio sinciziale (quell’Rsv passato pure dal Ticino nei mesi scorsi) - sono già in fase avanzata e, sin qui, hanno prodotto un certo entusiasmo. Lo stesso vale per Pfizer e i suoi studi su altri tipi di virus. Detto questo, il traguardo non è dietro l’angolo. Lo stesso Burton parla del 2030. Il tempo per costruire un’adeguata informazione c’è, insomma. Non stiamo parlando di una pandemia ignota e repentina, di un nemico che ci ha colti all’improvviso, rendendoci vulnerabili, spaventati e in qualche modo più cattivi. E allora, se il tempo c’è, non sprechiamolo.